
IL DON GIOVANNI
Vivere è un abuso, mai un diritto
uno spettacolo di e con Filippo Timi
e con Lucia Mascino, Marina Rocco, Elena Lietti, Umberto Petranca, Alexandre Styker, Matteo De Blasio, Fulvio Accogli, Roberto Laureri
regia e scena Filippo Timi
luci Gigi Saccamandi
costumi Fabio Zambernardi
in collaborazione con Lawrence Steele
regista assistente Fabio Cherstich
produzione Teatro Franco Parenti / Teatro Stabile dell’Umbria
in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 15 marzo
Voto: 6½ su 10
Il troppo stroppia, dicevano i saggi. Ma la cosa non sembra aver troppo condizionato Filippo Timi per questa sua riscrittura del Don Giovanni, adottato come nuovo mito di massa contemporaneo, che nulla ha a che vedere né col libercolo di Lorenzo Da Ponte, né con Moliere e né con Mozart. Piuttosto, è un figlio perfetto della cultura trash e commerciale del berlusconismo, che si adegua di conseguenza a una realtà da consumare avidamente prima della fine delle trasmissioni.
Uno spettacolo che fagocita sé stesso, nutrendosi di eccessi prima ancora di iniziare, abbattendo pareti e tempi di narrazione con una sfrontatezza disarmante. Il Timi-Don Giovanni è una rockstar sbattuta dagli stravizi ma sempre in ansia di ricevere calore femminile, tanto da tuffarsi tra le labbra delle signore del pubblico e regalare loro un acrobatico striptease. Gli altri personaggi ci sono tutti, ma il punto di fuga è sempre e solo Timi.
L’unità di misura è il caos, la pochade si stira tra frizzi e lazzi queer ora esilaranti ora imbarazzanti, la recitazione “burattinesca” funziona ma le simbologie appaiono spesso gratuite (dal materasso a forma di croce al Cristo in trasfusione sulla carrozzella, la pseudo invettiva religiosa è la cosa più inutile dell’opera), mentre tutto scorre verso un’antologia di ricordi da vecchia tv dei ragazzi ormai cresciuti, servita in salsa pop-infernale. Mancavano solo le fettine panate e il gioco era fatto.
Ma, al di fuori del suo pubblico di riferimento – i trenta/quarantenni alternativi che ne colgono ogni più irresistibile ammicco – un simile spettacolo non ha vita. Timi l’ha pensato e scritto per una precisa fetta di pubblico, che infatti lo applaude senza remore, lasciando alla sbarra tutti gli altri che rischieranno di annoiarsi a morte. Perché i siparietti sono divertenti, c’è della genialità umoristica senza mira, ma l’anima è povera, i contenuti scarsi. La verità è che Il Don Giovanni di Timi è solo una farsa triviale e kitsch, un piacere ludico che si scontra con la voglia di una sostanza inappagata.
Giuseppe D’Errico
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