Un fantastico via vai (Italia, 2013) di Leonardo Pieraccioni, con Leonardo Pieraccioni, Giorgio Panariello, Massimo Ceccherini, Serena Autieri, Maurizio Battista, Marco Marzocca, Marianna Di Martino, Giuseppe Maggio, Chiara Mastalli, David Sef, Alice Bellagamba
Soggetto e sceneggiatura di Leonardo Pieraccioni e Paolo Genovese
Commedia, 1h 35′, 01 Distribution, in uscita il 12 dicembre 2013
Voto: 5½ su 10
Chiunque, toscano e non, avesse avuto più di sei anni nel ’95, si ricorderà perfettamente I Laureati di Leonardo Pieraccioni. Complice il buon vecchio passaparola e i ripetuti passaggi televisivi, il primo film da regista di Pieraccioni divenne un cult fra i giovanissimi che sognavano una vita universitaria così come tra i quasi-trentenni che si rispecchiavano perfettamente nelle avventure dei quattro studenti più che fuoricorso. Le loro vite venivano raccontate con un realismo e un cinismo che solo la giovinezza e l’immersione reale in quel mondo potevano creare. Poi è arrivato Il Ciclone e tutto è cambiato: il secondo lavoro del regista fiorentino è l’incasso più alto della stagione, con oltre 75 miliardi al botteghino, e quindi Pieraccioni ha pensato bene di ripetere lo schema di quel film per i successivi quindici anni, un anno si e uno no, (senza però ripeterne gli esiti artistici e commerciali): la vita di un uomo medio di un paesino toscano a caso viene sconvolta dall’arrivo di un agente esterno (quasi sempre una bella donna, spesso straniera) che modificherà per sempre la vita del protagonista. Elementi imprescindibili di questo schema sono: la voce narrante del protagonista/Pieraccioni, una serie di comprimari dalla goliardia inarrestabile (quasi sempre un Ceccherini ai limiti della psicopatologia e un altro istrione tra Papaleo, Panariello e Hendel) e la visione di una Toscana da cartolina che piacerà sicuramente a tutti tranne che agli autoctoni.
Il film di quest’anno, Un Fantastico Via Vai, presenta solo in parte questi elementi ma nonostante ciò non si può certo definire un passo avanti nel suo stile registico o narrativo.
Arnaldo è un impiegato di banca, sposato con la moglie Anita (Serena Autieri) e con due belle gemelline, Federica e Martina. Un giorno, a causa di un banale fraintendimento, Anita caccia di casa Arnaldo che decide quindi di andare a vivere con degli studenti universitari. Le vite dei quattro giovani con i loro amori, problemi in famiglia e esami da superare, riempiranno le giornate di Arnaldo.
Non volendoci soffermare più di tanto sul dipinto che Pieraccioni fa dei quattro universitari fuorisede, che è fin troppo irreale soprattutto se paragonato alla lucidità con la quale era riuscito a ritrarli solo una ventina di anni prima, si notano comunque delle enormi lacune dal punto di vista della sceneggiatura. Dopo sedici anni di matrimonio Anita lascia il marito per un nonnulla risolvibile in pochi secondi, e lui senza soffrire, dispiacersi, rammaricarsi nemmeno per un attimo, inizia immediatamente una nuova vita. Non lo si sentirà parlare della moglie né tantomeno delle figlie per tutto il resto del film: non una lacrima, non un pensiero, non una telefonata alle gemelle, da subito festini universitari e spaghettate di mezzanotte. I quattro nuovi coinquilini di Armando poi, sono un concentrato di luoghi comuni: c’è Marco (Giuseppe Maggio), pressoché inutile per tutto il racconto, che vuole fare il chirurgo ma non sopporta la vista del sangue; Camilla (Marianna Di Martino), una ragazza siciliana scappata da casa perché incinta, come si faceva negli anni Cinquanta; Edoardo (David Sef), un ragazzo di colore ma con un marcato accento perugino; e Anna (Chiara Mastalli), romana verace (anche se inspiegabilmente figlia di un toscanissimo Massimo Ceccherini) che poteva essere addirittura una velina ma non si è mai abbassata ai ricatti sessuali dei vari “capi” e non si sa bene cosa faccia ora. Il film procederà con una serie di gag slegate tra loro, molte senza una vera conclusione e senza un preciso ruolo al’interno della narrazione (come ad esempio l’amicizia che lega il protagonista alla suorina che vive nel convento confinante con la loro casa, che appare dal nulla e altrettanto inutilmente se ne va lasciando il tempo che trova) con degli apici addirittura imbarazzanti. Dopo un pranzo al ristorante con i quattro “coinquilini”, alla vista di un conto troppo salato, Armando racconta un curioso aneddoto ai ragazzi: “sapete cosa facevamo noi da giovani in questi casi?”. A questo punto, chi ha molto amato il primo film di Pieraccioni, viene pervaso da un brivido. Si spera fino alla fine che ciò che si teme non succeda, e invece inesorabilmente succede. La famosa scena della fuga dal ristorante che tanto aveva divertito anni fa, riproposta in questa veste posticcia e abbastanza triste mette malinconia, soprattutto se ripetuta ben due volte durante l’ora e mezzo del film. Sicuramente ci sono delle punte di bella commedia, e i tempi comici di Pieraccioni & company sono ormai meccanismi perfettamente oliati e funzionanti, ma forse l’autocitazione è roba da lasciare a qualcun altro.
Marianovella Bucelli
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