Truth (id, Usa, 2015) di James Vanderbilt con Cate Blanchett, Robert Redford, Dennis Quaid, Topher Grace, Elizabeth Moss, Bruce Greenwood, Dermot Mulroney, Stacy Keach, John Benjamin Hickey, David Lyons, Rachel Blake, Andrew McFarlane
Sceneggiatura di James Vanderbilt dal libro “Truth and Duty: The Press, the President and the Privilege of Power” di Mary Mapes
Thriller, 2h 02′, Lucky Red, in uscita il 5 gennaio 2016
Voto: 7½ su 10
«È la stampa, bellezza! E tu non ci puoi fare niente!» diceva uno sprezzante Humphrey Bogart sotto il rumore assordante delle stampanti, al termine de L’ultima minaccia di Richard Brooks. Era il 1952, e il film era la storia di un coraggioso direttore di un quotidiano in rovina che intraprende una pericolosa inchiesta legata all’omicidio di una ragazza, dietro il quale si nasconde un clamoroso giro di corruzione: pubblicherà tutta la verità, salvando il giornale dalla chiusura. Ma è solo uno dei tanti (e più celebri) film che hanno raccontato il giornalismo americano, a volte con toni prepotentemente caustici (L’asso nella manica, Quinto potere), altre privilegiando la componente brillante (La signora del venerdì, Prima pagina), più spesso rimarcandone le influenze col potere (i fondamentali Quarto potere e Tutti gli uomini del presidente).
La corsa per la verità, e non ne fa mistero il titolo, è anche alla base di Truth dell’esordiente James Vanderbilt (già sceneggiatore per David Fincher in Zodiac), incentrato sullo scandalo “Rathergate” del 2004 che, di fatto, segnò una pagina indelebile nel libro del giornalismo d’inchiesta televisivo americano, ritrovatosi ad abdicare di fronte allo spettro assillante della politica e, soprattutto, verso la moltiplicazione delle informazioni – e loro relativa dispersione- nell’era internet.
La vicenda è quella di Mary Mapes (Blanchett), appassionata e combattiva producer della CBS News che, insieme all’anchorman simbolo della trasmissione “60 minutes” Dan Rather (Redford), reperì una serie di documenti in grado di screditare l’allora presidente George W. Bush, in lizza per il secondo mandato e reo di essersi arruolato nella Guardia Nazionale Aureonatica sotto raccomandazione per evitare di essere spedito in Vietnam nel 1968. Nel giro di cinque giorni lo scoop va in onda, suscitando enorme clamore. Ma la fragile attendibilità delle fonti e la mancata autenticità delle prove scritte saranno fatali per l’intera squadra giornalistica.
Il film, dagli intenti nobili e con una godibilissima riuscita spettacolare, può vantare una sceneggiatura di ferro, che, in un crescendo emotivo di grande calibro, immerge lo spettatore all’interno delle dinamiche redazionali più accese, dalla ricerca della notizia più succulenta alle verifiche di rito affidate a terzi, fino alla concorrenza sleale del web e alla spietata macchina del fango attuata dai diretti avversari. Se la struttura narrativa avvince, l’impianto etico costruito da Vanderbilt appare più discutibile: innalzando a eroi i suoi protagonisti, in un epilogo che non riesce a contenere una pomposa enfasi, il film sembra voler assoldare in toto una condotta lavorativa non proprio integerrima, qualunque fosse il fine e nonostante i molti e incolpevoli errori di valutazione commessi dai diretti interessati.
Dall’alveo di un robusto esemplare di sicuro professionismo hollywoodiano si stagliano, in un cast di altissima qualità, le interpretazioni di un Robert Redford in grande spolvero e particolarmente a suo agio in ambienti che l’hanno visto più volte mattatore assoluto, e soprattutto di una strepitosa Cate Blanchett, vera anima del racconto tanto da rendere la sua caparbietà re(g)ale, magnifica quando zittisce un plotone di avvocati con la sola forza di una logica verità.
Giuseppe D’Errico
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