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“Gold – La grande truffa”, un film di Stephen Gaghan, la recensione

Gold – La grande truffa (Gold, Usa, 2016) di Stephen Gaghan con Matthew McConaughey, Edgar Ramirez, Bryce Dallas Howard, Corey Stoll, Toby Kebbell, Adam LeFevre, Bruce Greenwood, Stacy Keach, Craig T. Nelson

Sceneggiatura di Patrick Massett, John Zinman

Drammatico, 2h 01’, Eagle Pictures/Leone Film Group, in uscita il 4 maggio 2017

Voto: 6 su 10

Il problema di Gold – La grande truffa è che, ormai, questi heist movie pseudo biografici sembrano tutti uguali. Trovata la storia da portare sullo schermo, il canovaccio da seguire è sempre lo stesso: sogno americano da infrangere, location esotiche, look vintage, un regista semiserio a dirigere la parabola e una star istrionica che porti avanti il minutaggio e metta più di una pezza alla sceneggiatura.  Se non ci fosse Matthew McConaughey a interpretare l’arraffino Kenny Wells, forse non esisterebbe neppure il film.

RomaFF10. Selezione Ufficiale: “Truth” di James Vanderbilt

Truth (id, Usa, 2015) di James Vanderbilt con Cate Blanchett, Robert Redford, Dennis Quaid, Topher Grace, Elizabeth Moss, Bruce Greenwood, Dermot Mulroney, Stacy Keach, John Benjamin Hickey, David Lyons, Rachel Blake, Andrew McFarlane

Sceneggiatura di James Vanderbilt dal libro “Truth and Duty: The Press, the President and the Privilege of Power” di Mary Mapes

Thriller, 2h 02′, Lucky Red, in uscita il 5 gennaio 2016

Voto: 7½ su 10

«È la stampa, bellezza! E tu non ci puoi fare niente!» diceva uno sprezzante Humphrey Bogart sotto il rumore assordante delle stampanti, al termine de L’ultima minaccia di Richard Brooks. Era il 1952, e il film era la storia di un coraggioso direttore di un quotidiano in rovina che intraprende una pericolosa inchiesta legata all’omicidio di una ragazza, dietro il quale si nasconde un clamoroso giro di corruzione: pubblicherà tutta la verità, salvando il giornale dalla chiusura. Ma è solo uno dei tanti (e più celebri) film che hanno raccontato il giornalismo americano, a volte con toni prepotentemente caustici (L’asso nella manica, Quinto potere), altre privilegiando la componente brillante (La signora del venerdì, Prima pagina), più spesso rimarcandone le influenze col potere (i fondamentali Quarto potere e Tutti gli uomini del presidente).

“Sin City – Una donna per cui uccidere”, l’estetica della piattezza

Sin City – Una donna per cui uccidere (Frank Miller’s Sin City – A Dame to Kill For, Usa, 2013) di Robert Rodriguez, con Josh Brolin, Eva Green, Mickey Rourke, Jessica Alba, Joseph Gordon-Levitt, Rosario Dawson, Bruce Willis, Jaime King, Marton Csokas, Christopher Meloni, Jeremy Piven, Powers Boothe, Dennis Heysbert, Lady Gaga, Ray Liotta, Stacy Keach, Juno Temple, Christopher Lloyd, Jamie Chung, Jude Ciccolella, Julia Garner

Sceneggiatura di Frank Miller, dalle graphic novels “Una donna per cui uccidere” e “All’inferno e ritorno” di Frank Miller

Azione, 1h 42′, Lucky Red, in uscita il 2 ottobre 2014

Voto: 5½ su 10

A quasi dieci anni dal primo Sin City, ritornano sul grande schermo luoghi e personaggi creati dal mitico fumettista Frank Miller che, per questo secondo capitolo, mette mani a due graphic novels, “Una donna per cui uccidere” e “All’inferno e ritorno”. Lunghissima e travagliata la gestazione, sopravvissuta grazie all’ammirevole controllo di un regista come Robert Rodriguez, che ne ha curato anche montaggio, musiche e fotografia, ma il risultato desta le stesse perplessità del film precedente.

“Nebraska”, illusione e riscatto, il poema di Pyne con un grande Bruce Dern

Nebraska (id, Usa, 2013) di Alexander Payne, con Bruce Dern, Will Forte, June Squibb, Stacy Keach, Bob Odenkirk, Mary Louise Wilson, Angela McEwan, Rance Howard

Sceneggiatura di Bob Nelson

Commedia, 2h 02′, Lucky Red, in uscita il 16 gennaio 2014

Voto D’Errico: 8 su 10

Voto Ozza: 7 su 10

Dopo A proposito di Shmidt e Sideways (ma anche in seguito all’introspezione della perdita di Paradiso amaro), Alexander Payne torna on the road. Si potrebbe definire Nebraska, l’ultimo film del regista americano (ma di radici greche) , come un poema della vita agra e solitaria, tenuta in piedi da personaggi brontoloni e arcigni in un paesaggio sterminato che solo la periferia statunitense sa restituire in tutte le sue freddure.