“Se la strada potesse parlare”, un film di Barry Jenkins, la recensione

Se la strada potesse parlare (If Beale Street could talk, Usa, 2018) di Barry Jenkins con Stephan James, KiKi Layne, Regina King, Diego Luna, Dave Franco, Teyonah Parris, Colman Domingo, Michael Beach

Sceneggiatura di Barry Jenkins dal romanzo omonimo di James Baldwin

Drammatico, 1h 59’, Lucky Red, in uscita il 24 gennaio 2019

Voto: 5 su 10

A poco più di un anno dall’inaspettato trionfo della sua opera seconda Moonlight, premiata addirittura con l’Oscar al miglior film (in una epocale gaffe con annesso scambio di buste sul palco dell’Academy), ritorna Barry Jenkins e il suo corredo di impegno civile ed enfasi liofilizzata: Se la strada potesse parlare, adattamento cinematografico del celebre romanzo dello scrittore afroamericano James Baldwin, vuole riflettere sulla questione della comunità nera d’America tornando indietro ai primi anni Settanta e incastonando all’interno del conflitto sociale una piccola storia d’amore destinata a grandi travagli.

La strada del titolo è la Beale Street di New Orleans dove, scriveva Baldwin, “sono nati mio padre, Louis Armstrong e il jazz”. Lungo i suoi marciapiedi si consuma l’idillio sentimentale tra i giovanissimi Fonny (James) e Tish (Layne), innamoratissimi ma separati da una infondata accusa di stupro da parte di una portoricana che costringe il ragazzo dietro le sbarre di un carcere. Seguiamo la trasformazione della loro relazione in un racconto dalla cronologia disordinata: iniziamo col conoscerli alle porte della prigione, con Tish incinta, per poi ritrovarli timidi e impacciati al primo appuntamento, e poi alla ricerca di una casa da acquistare, e ancora alle prese con gli imbarazzi di un romanticissimo primo rapporto sessuale. Fonny è un artista squattrinato, Tish è di buona famiglia: sarà proprio sua madre (King) a battersi per l’innocenza del futuro genero.

Contrariamente alla vena polemica – per molti discutibile – che pervadeva le pagine del referente letterario, nella trasposizione di Jenkins tutto la carica vibrante dell’accusatoria razzista verso la società dell’epoca sembra appianarsi in una visione estatica della realtà. Pur con rispetto verso il nobile e importante tema affrontato, Se la strada potesse parlare resta schiavo di un lirismo predigerito e della patina leziosa e algida che avvolge il film sin dalle prime sequenze, peculiarità che rischiò di affossare già il precedente e osannato Moonlight; forse, in quel caso, il tranche de vie aveva maggiore spessore drammatico per poter sorreggere lo zelo registico, al contrario stavolta ne viene fuori solo un film retorico e privo di nerbo, che si appaga della bellezza dei suoi attori, trasfigurandoli in un tripudio di spleen e colori soffusi a tratti imbarazzante. Gli unici momenti di vitalità sono i siparietti affidati alla famiglia di Tish, capitanata dalla risoluta Regina King, generosamente premiata con l’Oscar; ma sono solamente folkloriche congiunture di scrittura in una trattazione che avrebbe meritato ben altra forza.

Giuseppe D’Errico

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