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“Se la strada potesse parlare”, un film di Barry Jenkins, la recensione

Se la strada potesse parlare (If Beale Street could talk, Usa, 2018) di Barry Jenkins con Stephan James, KiKi Layne, Regina King, Diego Luna, Dave Franco, Teyonah Parris, Colman Domingo, Michael Beach

Sceneggiatura di Barry Jenkins dal romanzo omonimo di James Baldwin

Drammatico, 1h 59’, Lucky Red, in uscita il 24 gennaio 2019

Voto: 5 su 10

A poco più di un anno dall’inaspettato trionfo della sua opera seconda Moonlight, premiata addirittura con l’Oscar al miglior film (in una epocale gaffe con annesso scambio di buste sul palco dell’Academy), ritorna Barry Jenkins e il suo corredo di impegno civile ed enfasi liofilizzata: Se la strada potesse parlare, adattamento cinematografico del celebre romanzo dello scrittore afroamericano James Baldwin, vuole riflettere sulla questione della comunità nera d’America tornando indietro ai primi anni Settanta e incastonando all’interno del conflitto sociale una piccola storia d’amore destinata a grandi travagli.

RomaFF11 – Selezione Ufficiale: “The Birth of a Nation”, un film di Nate Parker

The Birth of a Nation (id, Usa, 2016) di Nate Parker con Nate Parker, Armie Hammer, Aja Naomi King, Mark Boone Jr., Colman Domingo, Aunjanue Ellis, Gabrielle Union, Penelope Ann Miller, Jackie Earle Haley

Sceneggiatura di Nate Parker

Biografico, 1h 59’, 20th Century Fox, in uscita il 17 gennaio 2017

Voto: 7 su 10

Ciclicamente, quello degli schiavi d’America è un genere cinematografico che ritorna, così come l’Olocausto o l’11 settembre, tragedie storiche incalcolabili che la settima arte ha raccontato sotto più fronti e con alterni risultati, fino a farne una categoria, un’etichetta. Quello dell’oppressione del popolo afroamericano da parte dei bianchi nella metà dell’Ottocento è un tema sempre caldo, specie se in patria le tensioni razziali non accennano a diminuire. Proprio per questo motivo, un film appassionato e viscerale come The Birth of a Nation può veicolare un messaggio ambiguo e pericoloso, in quanto rischia di alimentare un odio che ha radici profonde, ma che andrebbe analizzato e oggettivato con maggiore lucidità e meno concitazione spettacolare.

“The Butler”, retorica, lacrime e marketing presidenziale

The Butler – Un maggiordomo alla Casa Bianca (The Butler, Usa, 2013) di Lee Daniels, con Forest Whitaker, Oprah Winfrey, David Oyelowo, Robin Williams, Jane Fonda, Alan Rickman, James Marsden, Alex Pettyfer, Vanessa Redgrave, Mariah Carey, Lenny Kravitz, Cuba Gooding jr, John Cusack, Terrence Howard, Liev Schreiber, Jesse Williams, Clarence Williams III, Yaya Alafia, Colman Domingo, Nelsan Ellis, Minka Kelly, Elijah Kelley

Sceneggiatura di Danny Strong, dall’articolo “A Butler Well Served by This Election” di Wil Haygood apparso sul Washington Post il 7 novembre 2008

Drammatico, 2h 18′, Videa, in uscita il 1 gennaio 2014

Voto: 4 su 10

Hollywood non è nuova ai lavaggi di coscienze spettacolarizzati sul grande schermo cinematografico. A dire il vero, l’atteggiamento ha prodotto anche pellicole sinceramente toccanti sull’argomento della segregazione razziale (Il colore viola di Steven Spielberg è solo uno di questi), più spesso ne sono venute fuori operazioni scopertamente programmatiche e didascaliche, atte a colpire principalmente i condotti lacrimali dello spettatore con cascate di melassa e retorica storica. In questo secondo filone rientra, ahinoi, il film dell’impegnato, nero e gay Lee Daniels, solo qualche anno fa artefice di un bel ritratto di degrado sociale contemporaneo, quel Precious candidato a sei Oscar e vincitore di due, che lo consacrò agli occhi del pubblico e alle penne della critica.