RomaFF11 – Selezione Ufficiale: “Moonlight”, un film di Barry Jenkins

Moonlight (id, Usa, 2016) di Barry Jenkins con Trevante Rhodes, Naomie Harris, Mahershala Ali, André Holland, Janelle Monàe, Alex R. Hibbert, Ashton Sanders, Jaden Piner, Jharell Jerome

Sceneggiatura di Barry Jenkins

Drammatico, 1h 50’

Voto: 6½ su 10

Non è un film di facile metabolizzazione (specie se fruito nell’atmosfera spossante di una kermesse) questo scelto per aprire l’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma. Scritto e diretto da Barry Jenkins, alla sua opera seconda, Moonlight è un romanzo di formazione dalle tematiche gravi, formalmente ambizioso eppure con qualcosa di datato sia come concezione che per sviluppo narrativo.

moonlight-trailer-e-poster-del-film-con-naomie-harris-e-andre-holland-2Protagonista è Chiron, un ragazzo afroamericano che vive e cresce nella periferia degradata di Miami. Nel primo capitolo è un bambino (Hibbert) bullizzato e taciturno che vive con una mamma distratta e tossicodipendente (Harris, lodevole); le uniche due persone che sembrano preoccuparsi di lui sono uno spacciatore dal buon cuore (Ali) e una sua amica (Monàe). Nel secondo capitolo ritroviamo Chiron nell’età dell’adolescenza (Sanders), ancor più sofferente e vessato dai suoi coetanei. Questa volta, a stargli vicino è il compagno di scuola  Kevin (Jerome), col quale si instaura un’intesa particolare. Purtroppo Chiron, dopo una reazione violenta, viene arrestato. Nel terzo capitolo, il ragazzo magro e insicuro del passato è diventato un gangsta muscoloso e spavaldo (Rhodes). Gli anni di carcere l’hanno indurito e ora per vivere spaccia. Solo una telefonata di Kevin (Holland) lo riporterà alle sue vecchie paure…

È evidente la voglia dell’autore di voler raccontare una storia profondamente drammatica per riflettere sul senso di appartenenza alle proprie origini che si scontra con la propria identità. Il protagonista vive la sua condizione di emarginazione, non necessariamente legata alla sfera sessuale, come una colpa dalla quale farsi quotidianamente brutalizzare, in una realtà dove regna solo la violenza e la sopraffazione su ogni tipo di diversità. Jenkins racconta questa guerra privata attraverso una regia alta, austera, lirica, capace di dare spessore emotivo a situazioni pericolosamente sul bilico della banalità.  Forse sta qui uno dei limiti più forti del film, l’impossibilità di parlare di cose nuove e, anzi, di esasperare sempre più vicende già ampiamente dibattute al cinema in maniera egregia, da Spike Lee a John Singleton. In questo modo, la parabola di Moonlight, seppur affrontata con una dose di sensibilità rara per questi territori narrativi, rischia di restare senza voce, inascoltata. Allo stesso tempo, c’è una tale poesia nei momenti finali che verrebbe difficile non riconoscere l’autenticità dell’intera operazione. Un film poderoso e ponderoso dall’animo gentile.

Giuseppe D’Errico

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