“Il racconto dei racconti”: Garrone narra con gli strumenti del pittore

Il racconto dei racconti (Tale of Tales, Italia-Francia-Gran Bretagna 2015)
di Matteo Garrone, con: Salma Hayek, Vincent Cassel, Toby Jones, John C. Reilly, Christian Lees, Jonah Lees, Alba Rohrwacher.

Sceneggiatura di: Matteo Garrone, Edoardo Albinati, Ugo Chiti, Massimo Gaudisio

Fantasy, 2h e 8’, 01 Distribution, in uscita giovedì 14 maggio 2015.

Voto: 8 su 10

Il Racconto dei racconti non vuole essere un titolo altisonante, bensì italianizza Lo cunto de li cunti, raccolta di 50 fiabe di Giambattista Basile, pubblicata dopo la scomparsa dell’autore napoletano, nella prima metà del seicento. Garrone ne intravede (e non sbaglia) grandi potenzialità cinematografiche, oltre che narrative, ed ecco questo film, che sicuramente può vantare un’ottima produzione, un gran cast e, diciamolo, un regista tanto bravo quanto visionario.
Ma andiamo con ordine: lodevole il coraggio produttivo, la scommessa di produrre un genere ibrido, che vede incursioni quasi horror nel fantastico. La pellicola vanta numerose e splendide vedute aeree di paesaggi nostrani mozzafiato, ridipinti a volte mediante computer grafica, altre volte lasciati esprimere in tutta la loro naturale maestosità. E’ un film che respira molto all’aria aperta, molte scene in esterna, con altrettanti campi lunghi sempre pieni di vita, quasi un concatenarsi di quadri viventi.

Il cast poi è davvero giusto: Garrone sa lavorare con le “facce”, con quei volti interessanti al 2solo guardarsi, non è un caso che si servano poco della parola, che pronuncino poche battute. Salma Hayek è intensissima nel suo dolore e nella sua ossessione, la comunica dalla prima inquadratura con il solo sguardo; Toby Jones restituisce con gesti e movimenti le piccolezze e le manie del suo Re di Altomonte. E, in generale, tutti gli attori-volti, sono così giusti, così misurati e intesi al contempo, così in parte che è una gioia seguirli nelle loro storia.

Un punto dolente di questo film però c’è, esiste, e riguarda proprio la narrazione, ovvero la sceneggiatura: gli autori (oltre a Garrone firmano Chiti, Gaudisio e Albinati) scelgono tre fiabe dall’opera di Basile (conosciuta anche come Pentamerone), ma si limitano a narrarle in parallelo, alternandole senza ricadute tematiche fra di loro, senza trovarne un’unità, se non quella di un concetto (tre storie, tre donne protagoniste in fasi diverse dell’esistenza – giovinezza, maturità, vecchiaia) o di un labile ed esterno file rouge (una famiglia circense presente in tutte e tre le storie, che però non rappresenta alcun legame di senso e rimane mero pretesto). Questa smagliatura provoca un po’ di confusione, anche perché l’azione è frizzata (stoppata) più che sospesa, rallentando di molto il ritmo e conferendo al tutto un meccanicismo poco accattivante e godibile.

1A questo difetto, però, Garrone sopperisce con quel talento che lo rende unico, quella capacità di far esplodere i colori in una inquadratura (quella della regina che mangia il cuore di drago, tutta realizzata con il contrasto cromatico fra rosso sangue, nero e bianco candido è davvero molto bella) o di armonizzare azioni ed elementi scenografici nei totali, dei quali il cinema di oggi sembra fare sempre più a meno. Forse un po’ troppa fiducia nella pittura che nella drammaturgia, ma glielo si concede: il film risulta bello anche nella sua imperfezione.

Andrea Ozza

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