
Philomena (id, GB, 2013) di Stephen Frears, con Judi Dench, Steve Coogan, Charlie Murphy, Sean Mahon, Mare Winnigham, Sophie Kennedy Clark
Sceneggiatura di Steve Coogan e Jeff Pope, dal libro “The Lost Child of Philomena Lee: A Mother, Her Son and a 50 Year Search” di Martin Sixsmith
Drammatico, 1h 34′, Lucky Red, in uscita il 19 dicembre 2013
Voto D’Errico: 10 su 10
Voto Ozza: 10 su 10
Il film di questo Natale è Philomena di Stephen Frears, presentato in concorso all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, dove è stato tra i titoli più amati e applauditi (e forse anche il più bistrattato: ha raccolto “solo” il premio per la miglior sceneggiatura) e ora nelle sale con Lucky Red per un bel regalo delle feste. Oggetto raro e incantevole, accolto dal regista britannico di Le relazioni pericolose dalle mani di Steve Coogan, che l’ha scritto con abilità innata insieme a Jeff Pope, interpretato e finanche prodotto per salvaguardarne il risultato finale, assolutamente encomiabile. Perché il film, partendo da un materiale a prima vista vecchio e lacrimoso, ricava uno straordinario racconto di vita che è anche un’illuminante lezione di cinema e di tecnica narrativa.
La storia vera di Philomena Lee (una grande Judi Dench), madre coraggio che cerca suo figlio da oltre cinquant’anni, dopo essere rimasta incinta a diciassette e aver partorito nel convento di Roscrea, dove venivano segregate le ragazze perdute nel peccato. Le suore daranno in adozione il bambino ad una coppia americana e, da quel momento, Philomena non saprà più nulla del piccolo. Martin Sixsmith (Coogan), un giornalista in fase di enpasse professionale, si interessa alla vicenda e fiuta l’occasione del rilancio, senza immaginare i possibili sviluppi dell’incontro con la donna.
Sette anni dopo The Queen (e reduce dal dimenticabile Una ragazza a Las Vegas), Frears torna a dipingere un indimenticabile ritratto di madre che è anche un inappuntabile esempio di rigore, intelligenza e struttura cinematografica. Dramma e commedia, infatti, sono dosati con tale perizia da convivere non solo felicemente ma valorizzandosi a vicenda, trovando i perfetti contrappesi per l’intensità drammatica della storia nei due protagonisti. La prima, Philomena, tenera e adorabile, è animata da un senso di ricerca e da una fede incrollabile, che non esclude la semplicità e il candore più genuino nell’affrontare ogni cosa; il secondo, Martin, è pragmatico e ateo, riflessivo e dotato di pungente umorismo british. Gli splendidi dialoghi raccolgono ovazioni a scena aperta (ma che ne farà il doppiaggio italiano?), ed è impagabile la capacità della scrittura di servirsi delle stesse identiche tattiche dei romanzetti sentimentali che Philomena divora con tanta curiosità, e tramutandole in sfavillanti topoi strutturali, indispensabili e, anzi, miracolosi per l’economia della trama e per l’efficacia del trasporto empatico.
Così, Philomena colpisce dritto al cuore, riesce ad essere un film incredibilmente divertente e a dir poco struggente, dominato dal carisma di una immensa Judi Dench e dell’ottimo Steve Coogan, musicato con ormai inesauribile finezza da Alexander Desplat ma soprattutto servito da una delle più belle sceneggiature incontrate di recente, priva di gratuito anticlericalismo e fedele alla sua mitica protagonista, eroina credente che, nel finale, sarà in grado di far tremare le coscienze. Grande cinema.
Giuseppe D’Errico
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