
La ragazza del treno (The Girl on the Train, Usa, 2016) di Tate Taylor con Emily Blunt, Luke Evans, Haley Bennett, Rebecca Ferguson, Edgar Ramirez, Justin Theraux, Allison Jenney, Lisa Kudrow
Sceneggiatura di Erin Cressida Wilson, dal romanzo omonimo di Paula Hawkins (ed. Piemme)
Thriller, 1h 51’, 01 Distribution, in uscita il 3 novembre 2016
Voto: 5 su 10
Ci si chiede, a distanza di qualche giorno dall’uscita, come può un film tanto sgangherato e fumoso come La ragazza del treno di Tate Taylor riscuotere un così largo apprezzamento di pubblico. Infondo non ci sono vere star trainanti in cartellone, con tutto il rispetto per la lacrimosa Blunt, né il lancio in sala è stato chissà quanto battente. Le ragioni possono essere due: la prima, indubbia, è data dal fattore “trasposizione di un best seller da ombrellone” che ha elettrizzato oltre dieci milioni di lettori; la seconda si potrebbe individuare nella fame, sempre più crescente e sempre meno appagata, che il pubblico cinematografico ha di un classico thriller, con tutti gli elementi del caso al loro posto e senza inutili ingerenze esterne.
La ragazza del treno è il più basilare dei whodunit, condito con alcune immancabili ascendenze hitchcockiane (ci rifiutiamo di individuarle, per quanto lampanti, solo per rispetto al re del brivido, che con un simile soggetto avrebbe fatto deliri): c’è una protagonista, Rachel (Emily Blunt), distrutta dall’alcol e da un matrimonio fallito, che guarda ogni giorno dal finestrino del treno la vita perfetta di un’antagonista, Megan (Haley Bennett), felice e amata come lei tanto vorrebbe. C’è poi il terzo incomodo, Anna (Rebecca Ferguson), ora moglie ma prima amante dell’ormai ex marito di Rachel (Theroux), che vive proprio nella villetta accanto a Megan. Poi il giallo: Megan scompare. Forse Rachel, vodka o non vodka, ha visto qualcosa dal vetro del treno?
Di rimproverabile, il film ha prima di tutto una sceneggiatura di rara grossolanità, zeppa di flashback in lungo e in largo, giustificati solo dall’ansia di confondere le acque allo spettatore poco esperto del genere. E quindi via di mezze sequenze abbozzate, finti ricordi, sedute di psicanalisi menzognere, voice over invadente e tutta una serie di deprimenti giochetti visivi di terz’ordine che non ci si aspettava dal luminoso regista di The Help. La suspence è straziata da una narrazione claudicante e affannosa, l’interesse verso la sfortunata eroina beona pressoché nullo e, stringi stringi, anche il giallo si risolve in una fiera di banalità degne di uno sceneggiato melodrammatico di metà anni Ottanta, con però una connotazione trash-casalinga sul finale che è tutta di questo imbarbarito nuovo millennio.
Ma al plot di Paula Hawkins rivisto dalla penna di Erin Cressida Wilson riconosciamo il piacere della tradizione, del thriller in quanto tale, con una non sgradita punta di erotismo (cosa poi abbia da recriminare la Megan della notevole Bennett verso il marito Luke Evans, che la soddisfa ampiamente in ogni momento della giornata, è altro mistero che il film non chiarisce…). Se poi ci fosse stata un po’ di originalità, allora ne avremmo giovato tutti, colpevole in primis.
Giuseppe D’Errico
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