Venezia76 – Concorso: “The Laundromat”, un film di Steven Soderbergh, la recensione

The Laundromat – Panama Papers (id, Usa, 2019) di Steven Soderbergh con Meryl Streep, Gary Oldman, Antonio Banderas, Sharon Stone, Melissa Rauch, Will Forte, Matthias Schoenaerts, David Schwimmer, James Cromwell, Robert Patrick, Jeffrey Wright, Alex Pettyfer, Nonso Anozie, Jessica Allain

Sceneggiatura di Scott Z. Burns, dal romanzo Secrecy World: Inside the Panama Papers Investigation of Illicit Money Networks and the Global Elite di Jake Bernstein

Commedia, 1h 35’, Netflix

Voto: 7 su 10

Se c’è una cosa che il cinema non ha mai smesso di fare è raccontare i grandi scandali dell’età moderna, giacché la realtà ha sempre, e di gran lunga, superato la finzione. Ecco allora che, dopo i Pentagon Papers riportati in auge da Steven Spielberg nel recente The Post – in una narrazione che si ricollegava direttamente ad un altro classico del cinema di denuncia come Tutti gli uomini del presidente di Pakula – è ancora uno Steven, questa volta il provocatorio e mai banale Soderbergh di Erin Brokovich e The Informant, a riportare alla luce con The Laundromat i famigerati Panama Papers che, nel 2016, a seguito di un’inchiesta condotta da oltre 400 reporter del Consorzio Nazionale dei Giornalisti Investigativi, rivelarono una delle più impressionanti frodi finanziarie della storia.

In un impianto dichiaratamente satirico, il film parte dal caso fittizio di una donna rimasta vedova a seguito di una tragedia in mare e decisa a scoprire cosa c’è dietro a una polizza assicurativa falsa; arriverà fino a Panama, all’indirizzo della sede della società, scoprendo che in realtà non esiste. Parallelamente, tante altre vicende di traffici sospetti e conti offshore riveleranno allo spettatore l’esistenza di uno studio legale cui fanno capo i nomi di Jürgen Mossack e Ramón Fonseca, specializzato nell’occultamento dei beni economici di gente ricca e potente, secondo una sofisticata rete di corruzione ed evasione fiscale. Il tutto beneficiando delle falle del sistema legislativo statunitense.

Interpretato dalla grande Meryl Streep, campionessa di trasformismo, qui una e trina nel ruolo della vedova testarda che interroga Dio sul senso di giustizia e sulla fine dei miti, e da Gary Oldman e Antonio Banderas nei panni decisamente appariscenti, per gusto di caricatura, del tedesco Mossack e dell’ispanico Fonseca, The Laundromat segue una narrazione letteralmente episodica, con tanto di divisione in capitoli, cui fa da cornice una sorta di confessione meta-cinematografica dei due lestofanti direttamente allo spettatore, di volta in volta in set differenti che cambiano alle loro spalle come se ci trovassimo all’interno di uno studio di riprese. L’abbattimento della quarta parete si fa totale nel finale, quando il mistero dei Panama Papers viene svelato, ma non l’anonimo John Doe che diffuse per primo le informazioni, rivelando in pieno l’artificio del mezzo filmico, secondo a nessuno in quanto a mistificazioni, neppure a una frode finanziaria.

Sulla scorta del romanzo Premio Pulitzer “Secrecy World: Inside the Panama Papers Investigation of Illicit Money Networks and the Global Elite” di Jake Bernstein, Steven Soderbergh e il suo sodale sceneggiatore Scott Z. Burns guardano a Brecht e al Kubrick del Dottor Stranamore, e sembrano suggerire che, in una società fondata sullo scambio tra banane e mucche (metafora piuttosto azzardata), sarà sempre il denaro, o meglio il credito, a decidere per noi, a toglierci la libertà. La capacità di far ridere di un argomento così complesso e, in alcuni casi, terribilmente drammatico (c’è chi ha perso la vita a causa dell’inchiesta dei Panama Papers, come la giornalista Caruana Galizia, uccisa in un attentato nel 2017) è senza dubbio un merito del film che, per il resto, soffre una struttura frammentaria che smorza la forza dello scandalo. Resta una rilettura audace e non priva di polemica della nuova società dei consumi. Distribuisce Netflix dal 18 ottobre.

Giuseppe D’Errico

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