Venezia76 – Concorso: “Il sindaco del Rione Sanità”, un film di Mario Martone, la recensione

Il sindaco del Rione Sanità (id, Italia, 2019) di Mario Martone con Francesco Di Leva, Massimiliano Gallo, Roberto De Francesco, Adriano Pantaleo, Daniela Ioia, Giuseppe Gaudino

Sceneggiatura di Mario Martone e Ippolita Di Majo, tratto dalla commedia omonima di Eduardo De Filippo

Drammatico, 1h 58’, Nexo Digital

Voto: 6 su 10

Sulla scorta di una lavoro di regia svolto per il teatro sul testo di Eduardo De Filippo, Mario Martone trasferisce sul grande schermo Il sindaco del Rione Sanità, con ovvie modifiche di adeguamento al mezzo filmico ma senza tradire l’impostazione contemporanea che già aveva raccolto consensi sulle tavole del palcoscenico. L’operazione di trasposizione, da classico della tradizione teatrale italiana a riadattamento in chiave moderna a opera cinematografica, non è così scontato, e si percepiscono le difficoltà di Martone nel cercare di evitare le secche del teatro filmato, avendo mantenuto in gran parte l’integralità del testo e riconfermando l’intera squadra di interpreti (ad eccezione di Roberto De Francesco che subentra nel ruolo del dottore) già formati sul palco.

Il sindaco in questione non è più il vecchio saggio di larghe vedute che cerca di porre pace tra le beghe di quartiere, bensì un prestante e minaccioso quarantenne col fare da boss, che veicola la giustizia del Rione Sanità secondo la sua personalissima visione “d’onore” dei comportamenti umani. Lui è l’amico degli ignoranti, perché “chi tiene i santi va in Paradiso, ma chi non li tiene va da don Antonio Barracano”. Ed è così che, quando il figlio del fornaio gli si presenta davanti, deciso a uccidere il padre, Don Antonio ragiona su come quel senso di vendetta abbia condizionato anche lui da ragazzo. Ma la riconciliazione, pur se rincorsa, passa per il sangue.

De Filippo trapiantato nella Gomorra attuale: una suggestione per nulla peregrina, che pone nuovamente l’attenzione sull’attualità dei classici, ma che, se a teatro riusciva a trovare una sua dimensione di denuncia civile, sul grande schermo rischia di apparire forzata nelle dinamiche narrative e nell’esasperazione dei caratteri. Un po’ Cassavetes, un po’ Mario Merola, Martone aggiunge poche o nessuna novità rispetto a quanto già dimostrato in scena e, dell’operazione, sfugge francamente il senso cinematografico, al di là di quello squisitamente didascalico dell’avvicinare le nuove generazioni, cresciute a suon di serialità criminali, a un capolavoro di così straordinaria potenza.

Giuseppe D’Errico

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