RomaFF11 – Alice nella città: “Three Generations”, un film di Gaby Dellal

Three Generations (id, Usa, 2016) di Gaby Dellal con Naomi Watts, Elle Fanning, Susan Sarandon, Linda Emond, Tate Donovan, Sam Trammell

Sceneggiatura di Nikole Beckwith

Drammatico, 1h 28’, Videa, in uscita il 24 novembre 2016

Voto: 6½ su 10

Progetto coltivato dalla sua autrice Gaby Dellal fin dal 2012 e purtroppo vittima di un travaglio produttivo che ne ha fatto slittare l’uscita in sala per più di un anno, finalmente Three Generations vede la luce dopo aver cambiato più volte pelle ed essere stato sottoposto a una serie di tagli e aggiustamenti (titolo compreso, che in origine era About Ray) forse opinabili. Tutto merito di Harvey Weinstein, quindi, se l’attenzione verso la protagonista più giovane, un’adolescente transgender, è stata dirottata verso lo strampalato nucleo famigliare in cui vive.

2ff_3generations_web_v2Il film, infatti, racconta la storia di una ragazza sedicenne (Fanning) che vorrebbe intraprendere una cura di testosterone per cambiare sesso e diventare finalmente Ray. Sua madre (Watts), che l’ha cresciuta da sola, le dà enorme supporto, nonostante le mille perplessità che una decisione simile può comportare. Più scettica, invece, la nonna fricchettona (Sarandon), lesbica che vive da anni con una compagna (Emond), incapace di comprendere le ragioni che spingono la nipote a volersi conformare a un modello di normalità. Per accedere al trattamento, però, è necessario il consenso di entrambi i genitori, e convincere il padre assente non sarà impresa facile.

Forte di un dialogo veloce e brillante, il film riesce a trattare con leggerezza e sensibilità un tema di estrema delicatezza. Ciò è possibile grazie alla scrittura lieve e ironica, che unisce con tatto le idiosincrasie femminili con i piccoli e grandi drammi famigliari provenienti dal passato, anche quando i colpi di scena prendono il sopravvento. Un plauso, però, è d’obbligo alle tre affiatate interpreti principali, con Watts e Sarandon impeccabili e una Elle Fanning di splendida misura.

Giuseppe D’Errico

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