
Alaska (Italia/Francia, 2015) di Claudio Cupellini con Elio Germano, Astrid Berges-Frisbey, Valerio Binasco, Elena Radonicich, Pino Colizzi, Marco D’Amore, Roschdy Zem, Paolo Pierobon
Sceneggiatura di Claudio Cupellini, Guido Iuculano, Filippo Gravino
Drammatico, 2h 05′, 01 Distribution, in uscita il 5 novembre 2015
Voto: 4 su 10
C’è del marcio in Alaska, nome del locale notturno attorno a cui ruotano le vite di Fausto (Germano) e Nadine (Berges-Frisbey), e titolo del terzo lungometraggio di Claudio Cupellini, reduce dalla co-regia della fortunata serie televisiva Gomorra e nuovamente alle prese con un racconto disperato (e disperante) sulle difficoltà di inserimento dell’italiano all’esterno, dopo la faida familiare affrontata da Toni Servillo in suolo germanico nel precedente Una vita tranquilla (2010).
Stavolta siamo nei territori di una tribolata storia d’amore: la scintilla scocca sul tetto di un albergo di lusso a Parigi. Lui lì fa il cameriere, lei partecipa a un provino per diventare modella. Insieme si mettono nei guai ma a finire in carcere per ben due anni toccherà all’italiano manesco, che per tutto il tempo non farà mai mancare alla francesina le sue lettere. Lei non gli risponderà mai, salvo poi presentarsi proprio quando lui è libero. Ovvi strepiti, i due si amano pazzamente. Ma la dea bendata si divertirà non poco a rovinare ogni loro piano di serenità…
Questo non è che l’inizio di un film che, da simili premesse e pur con le dovute riserve, poteva trovare rifugio nei ranghi di una trattazione sentimentale quantomeno efficace per impeto e costruzione circolare. Invece Cupellini, che è anche abile col mezzo cinematografico, vuole il melodrammone a forti tinte, quello in cui le ambizioni sfrenate – di autore e personaggi – portano all’inferno. E allora tutto scade in un festival di inverosimiglianze senza tregua, all’insegna di un tempismo narrativo fatale per la credibilità dell’azione e di una messa in scena di insopportabile esasperazione. E tra scene madri di suicidio e riappacificazioni di sangue, ne esce malamente anche l’altrove ottimo Germano, vittima di un gigionismo fuori controllo in un ruolo che è solo irritante déjà vu.
Giuseppe D’Errico
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