
Gambit (id, Usa, 2012) di Michael Hoffman con Colin Firth, Cameron Diaz, Alan Rickman, Tom Courtney, Stanley Tucci, Cloris Leachman
Sceneggiatura di Joel e Ethan Coen, dal racconto di Sidney Carroll, già alla base del film di Ronald Neame “Gambit – Grande furto al Semiramis” (1966)
Commedia, 1h 30’, Medusa, in uscita il 28 febbraio 2013
Voto: 6 su 10
Ci si aspettava di meglio dal tanto atteso remake del classico di Ronald Neame Gambit – Grande furto al Semiramis, delizioso heist movie del 1966 interpretato in maniera sublime da Michael Caine e Shirley MacLaine. Poco, pochissimo di quel film resta nella sceneggiatura dei geniali Joel e Ethan Coen, autori da storia del cinema, qui a corto di vera ispirazione.
Un amabile e imbranato esperto d’arte londinese, Harry Deane (Colin Firth), stanco delle continue vessazioni del suo capo, il ricchissimo collezionista Lionel Shabander (Alan Rickman), decide di raggirarlo, spingendolo all’acquisto di un falso dipinto di Monet. Per farlo si serve dell’aiuto della stravagante PJ Puzowski (Cameron Diaz), una campionessa di rodeo texana, accortamente scovata perché, forse, discendente degli antichi proprietari del quadro. Il colpo si rivelerà più complesso delle rosee previsioni iniziali.
La coppia di sceneggiatori, probabilmente nel tentativo di svecchiare un congegno narrativo, in realtà, di leggiadra perfezione, semplificano la tela dell’imbroglio per accanirsi maggiormente sul versante ironico; il risultato è grazioso, ma anche risaputo e scontato, e manca quel sottile glamour del furto che, invece, splendeva nell’originale.
Tutto sommato non ci si annoia mai, grazie alla regia vagamente sofisticata di Michael Hoffman (Bolle di sapone, Un gioro per caso), che con il giallo-rosa dimostra di saperci fare, alla splendida fotografia di Florian Ballhaus e al divertito gioco d’interpreti, in cui svetta l’elegante Colin Firth, finto tonto dal fascino british che mantiene il suo aplomb persino quando si ritrova (ahimé, senza troppa originalità) in mutande sul cornicione dell’Hotel Savoy.
I vezzi del genere ci sono tutti, qualche greve (ma gustosa) caduta di stile anche. Un old fashoned rivisitato senza grande slancio, riposante, dimenticabile.
Giuseppe D’Errico
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