
Voto 7 su 10
Cinque giorni… no, non stiamo parlando della celebre canzone di Michele Zarrillo, ma parliamo comunque di musica. Si è concluso ieri il Festival di Sanremo e oggi con gli ultimi strascichi nei programmi del pomeriggio si chiude ufficialmente la kermesse che insieme a Miss Italia è uno dei programmi storici del palinsesto Rai.
Un festival strano, ibrido, quello di Fazio che sceglie una scenografia cupa, con teli di canapa strappati come quinte e sculture di fiori sospese in aria, una scala che appare solo a comando e l’orchestra in un golfo mistico laterale, quasi messa all’angolo. Volendo fare lo sforzo di apprezzarne la contemporaneità non si può fare a meno di pensare che non fosse comunque il contesto adatto alla sperimentazione.
Sanremo è il tempo della tradizione e lo dimostrano i picchi di share che registrano all’ingresso sul palco di mostri sacri (o dinosauri, come li hanno definiti su twitter) come Albano, Andrea Bocelli e Pippo Baudo. Anche la canzone che vince alla fine non è la stramba “Canzone mononota” di Elio e le storie tese (vincitrice però del premio Mia Martini), ma “L’essenziale” una bellissima ballad in pieno stile sanremese cantata da un impeccabile Marco Mengoni, giovane ma con un cuore abbastanza antico da emozionarsi mentre canta, durante la quarta serata (quella dedicata alla memoria del festival), la canzone “Ciao amore ciao”, ultima canzone di Luigi Tenco.
Sotto il profilo strettamente canoro, magari si potesse parlare solo di quello, una scelta inconsueta, quella di far presentare ogni partecipante con due canzoni e lasciar scegliere al pubblico quella da tenere in gara. Ne è emerso un gusto retrò del pubblico che ha molto premiato lo swing. L’amore per il vintage poi sembrava esplodere specialmente nelle nuove generazioni, nei ritmi Ska della canzone di Annalisa Scarrone e in quello Jazzistico del duo Molinari e Cincotti.
Belle canzoni, particolari i testi di Simone Cristicchi, che non si smentisce mai e dei già citati Elio e le storie tese. I Modà, terzi classificati si presentano invece con l’ennesimo lento da esterna di Uomini&donne, ma del resto al pubblico piacciono così.
Nessun podio per la favorissima Malika Ayane, che con una canzone scritta da Giuliano Sangiorgi e il trucco alla Marlene Dietrich non riesce comunque a piazzarsi in finale, se non altro è passatissima nelle radio, così come la giovanissima Chiara, vincitrice di X factor e timida New Entry in un panorama di Abituès. Dal momento che comunque male di qualcuno si deve dire c’è ancora chi si chiede perché Maria Nazionale abbia presentato una canzone in Napoletano ad un Festival che è della canzone italiana. Il mondo dei Social Network si scatena chiedendo per l’anno prossimo i Sud Sound System che cantano in pugliese o qualche bel rap capitolino.
Nella categoria giovani trionfa Antonio Maggio, anche lui ex partecipante della prima edizione di X-Factor. Verrebbe da dire che la Rai coltiva talenti ma poi si potrebbe anche malignare che li coltiva per riciclarli.
Gli ospiti internazionali sono stati di altissimo livello, forse troppo alto per essere veramente apprezzati dal pubblico nazional popolare di Sanremo. Certo si poteva risparmiare su qualcuno, chi ha bisogno di due supermodelle quando c’è la Littizzetto? E finalmente entriamo nel vivo: la conduzione. Sembrava di vedere “Che tempo che fa” molti lamentavano l’assenza della storica spalla di Fazio. No, non Luciana, lei c’era, ovviamente si parla di Saviano. Tanta politica, troppa forse e soprattutto messa male. Fortunatamente ci si è limitati dalla terza serata in poi, probabilmente i bruttissimi momenti vissuti nella prima serata con un Crozza fischiato ed invitato ad uscire hanno aiutato a limitare i danni evitanto che la Kermesse si trasformasse in una tribuna politica dalla facile satira. Ma abbiamo citato la prima donna del Festival: Luciana Littizzetto. Le sue battute inappropriate infilate in ogni momento, persino nella presentazione delle canzoni hanno rischiato di esasperare il pubblico, ma si è pienamente ripresa nella terza serata con il monologo contro la violenza sulle donne e la sua partecipazione al flashmob con altre 50 ballerine. Banale, ha detto qualcuno. Necessario, ribattiamo noi.
Nel complesso un festival da sette, non è il più bello degli ultimi anni (qualcuno qui ancora rimpiange Bonolis) ma di certo ha avuto il pregio di essere diverso in modo da spianare la strada ad ulteriori cambiamenti che si sa, sono difficili da digerire, ma non fanno mai male.
Maddalena Mannino
Viene un po’ da chiedersi se chi ha scritto il festival l’abbia poi guardato veramente… l’orchestra era al centro, sul palco e sopra al palco, che più centrale, in vista e in primo piano non si può. Bobby Solo non solo non c’era, ma non se n’è neanche parlato… mah.
Gentile Sabrina, in quanto autrice la ringrazio per avermi fatto notare un errore nell’articolo. Il nome che avrei dovuto scrivere era quello di Andrea Bocelli, distrazione causa “Domeniche In”… corso.
Per quanto riguarda l’orchestra e la scenografia non posso che dire De gustibus non est disputandum, rispetto la sua opinione ma rimango della mia.
La ringrazio a nome mio e della redazione per il riscontro e spero rimanga nostra lettrice.
Maddalena Mannino