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#arenaestiva: “È solo la fine del mondo”, un film di Xavier Dolan, la recensione

È solo la fine del mondo (Juste la fin du monde, Canada/Francia, 2016) di Xavier Dolan con Gaspard Ulliel, Vincent Cassel, Nathalie Baye, Marion Cotillard, Léa Seydoux, Antoine Desrochers

Sceneggiatura di Xavier Dolan, dal dramma teatrale “Giusto la fine del mondo” di Jean-Luc Lagarce

Drammatico, 1h 35’, Lucky Red, in uscita il 7 dicembre 2016

Voto: 7½ su 10

Mantenere le redini di un angusto e fittissimo dramma da camera non è impresa facile. Se n’è cimentato l’enfant prodige della cinematografia canadese Xavier Dolan, lodatissimo autore ventisettenne che per il suo sesto film (ebbene sì) ha deciso di trasporre sul grande schermo la pièce teatrale “Juste la fin du monde” di Jean-Luc Lagarce, drammaturgo tra i più rappresentati in Francia e morto prematuramente di Aids nel ’95 a soli 38 anni. Materia particolarmente affine al regista québechese, che ha sempre indagato l’ambiente famigliare come antro spettrale di tutte le angosce dell’uomo contemporaneo, il film omonimo (in Italia, È solo la fine del mondo) resta fedele e rispettoso al testo d’origine, pur riflettendo tutto l’impeto rancoroso che dalla pagina trasfigura nelle immagini e nello stile saturo di Dolan.

“Spectre”, il quarto Craig continua verso le origini e spreca il cattivo Waltz

Spectre (id, Usa/GB, 2015) di Sam Mendes con Daniel Craig, Léa Seydoux, Christoph Waltz, Monica Bellucci, Ralph Fiennes, Ben Whishaw, Naomie Harris, Andrew Scott, Dave Bautista, Rory Kinnear, Jesper Christensen, Stephanie Sigman

Sceneggiatura di John Logan, Neal Purvis, Robert Wade, Jez Butterworth dal personaggio letterario creato da Ian Fleming

Thriller, 2h 28′, MgM/Warner Bros. Entertainment Italia, in uscita il 5 novembre 2015

Voto: 7 su 10

James Bond numero 24, nonché quarto capitolo dal reboot che, nel 2006 e col biondo Daniel Craig, rilanciò la saga dell’agente segreto con licenza di uccidere, donandogli passato conflittuale ed emozioni struggenti. Sulla strada della (ri)costruzione biografica del personaggio, dopo l’eccellente Skyfall, Sam Mendes ritrova la regia per l’episodio che risale alla madre di ogni organizzazione criminale di conneryana memoria, la famigerata Spectre.

“The Lobster”, un film di Yorgos Lanthimos, la recensione

The Lobster (id, Grecia/Irlanda/Francia/GB/Olanda, 2015) di Yorgos Lanthimos con Colin Farrell, Rachel Weisz, Lèa Seydoux, John C. Reilly, Ben Whishaw, Jessica Barden, Olivia Colman

Sceneggiatura di Yorgos Lanthimos, Efthymis Filippou

Grottesco, 1h 58′, Good Films, in uscita il 15 ottobre 2015

Voto: 6 su 10

Ai più il nome di Yorgos Lanthimos non dirà molto, ma il pubblico meno affine al multiplex lo ricorderà per alcune bizzare pellicole “da festival” come Dogtooth e Alps. Con The Lobster, premio della giuria a Cannes 2015, il regista greco ritorna ad affrontare temi a lui cari, come solitudine e affettività nelle loro molteplici declinazioni, nuovamente in chiave surreale e grottesca, ma per la prima volta all’interno di una ricca produzione internazionale. Vero è anche che i film di Lanthimos non sono mai banalmente collocabili in un genere, nè godono di formule narrative canoniche: partendo da un’apologia, almeno sulla carta, irresistibile e densa di chiavi di lettura, si arriva poi a sviluppi che, di fatto, abbandonano malamente il discorso di partenza.

“Grand Budapest Hotel”, una giostra di stile che rasenta l’esercizio

Grand Budapest Hotel (id, Usa, 2013) di Wes Anderson con Ralph Fiennes, Tony Revolori, Saoirse Ronan, Adrien Brody, Tilda Swinton, Harvey Keitel, Owen Wilson, Willem Defoe, Jason Schwartzman, Edward Norton, Mathieu Amalric, Lèa Seydoux, Jude Law, Bill Murray, F. Murray Abraham, Jeff Goldblum, Tom Wilkinson, Giselda Volodi, Bob Balaban

Sceneggiatura di Wes Anderson e Hugo Guinness, dai racconti di Stefan Zweig

Commedia, 1h 40′, 20th Century Fox Italia, in uscita il 10 aprile 2014

Voto: 6 su 10

Sette anni fa, per caso, il regista statunitense Wes Anderson, pupillo della giovane critica cinematografica e candide del mezzo in senso elegantemente infantile, venne a conoscenza della narrativa di Stefan Zweig, lo scrittore austriaco più umanista, limpido e pacifista delle prime decadi del Novecento. Due universi affini che convergeranno naturalmente in Grand Budapest Hotel, sorta di intrigo internazionale ispirato da L’impazienza del cuore e Estasi di libertà, oltre che al grande cinema europeo dei maestri come Lubitsch, Ophuls e Wilder (ma l’elenco potrebbe essere ancora più lungo).

“La bella e la bestia”: come privare una fiaba della propria magia

La bella e la bestia (La belle & la bête, Francia,2014) di Christophe Gans, con Vincent Cassel, Léa Seydoux, André Dussollier, Eduardo Noriega, Yvonne Catterfeld, Richard Sammel

Sceneggiatura di Christophe Gans, Sandra Vo-Anh

Fantastico, 1h52’, Notorious Pictures, nelle sale dal 27 febbraio 2014

Voto Ozza: 5½ su 10
Voto Di Giacomantonio: 5 su 10

Se ad ascoltare il racconto di questa fiaba ci fossero stati dei bambini, sul set dell’ultimo film di Christophe Gans, avrebbero protestato al regista: “No, scusa, puoi tornare indietro? Hai saltato la parte più importante, quella in cui Belle si innamora della Bestia!”. Si fa fatica a crederlo ma è così: questa nuova e sontuosa trasposizione cinematografica della celebre fiaba è monca della sua parte centrale (e morale): l’idea che l’amore possa sbocciare anche fra individui diversi, al di là delle barriere puramente estetiche, ovvero il momento in cui Belle rinuncia ai pregiudizi e vede al di là del mostro, divenendo sua amica.

“La vita di Adele”, oltre il cinema-verità, un’esperienza totale che lascia ammaliati

La vita di Adele (La vie d’Adèle, Francia, 2013) di Abdellatif Kechiche, con Adèle Exarchopoulos, Léa Seydoux, Jérémie Laheurte, Salim Kechiouche, Mona Walravens

Sceneggiatura di Abdellatif Kechiche e Ghalya Lacroix, liberamente tratto dalla graphic novel di Julie Maroh “Il blu è un colore caldo” (Ed. Rizzoli – Lizard)

Drammatico, 2h 59’, Lucky Red, in uscita il 24 ottobre 2013

Voto D’Errico: 10 su 10

Voto Ozza: 8 su 10

Per una bella definizione, il cinema è la macchina dei sogni. Spesso, però, è anche lo specchio deformante della realtà e della vita. Con La vita di Adele, del regista tunisino naturalizzato francese Abdellatif Kechiche, Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, la normale indiscrezione del mezzo cinematografico scompare completamente per lasciare spazio alla vita stessa, senza artifici né plagi per amor di estro artistico. Il risultato è un film che sembra, allo stesso tempo, la negazione di un film come finzione e la prova più sconvolgente del potere del cinema. Filmare una storia d’amore, in un tranche de vie lungo degli anni, come se questa ci appartenesse in prima persona, come se i protagonisti fossimo noi, tanto è fuori dal comune lo stile adottato, totalmente naturale, limpido, confortevole, perturbante.