“The Lobster”, un film di Yorgos Lanthimos, la recensione

The Lobster (id, Grecia/Irlanda/Francia/GB/Olanda, 2015) di Yorgos Lanthimos con Colin Farrell, Rachel Weisz, Lèa Seydoux, John C. Reilly, Ben Whishaw, Jessica Barden, Olivia Colman

Sceneggiatura di Yorgos Lanthimos, Efthymis Filippou

Grottesco, 1h 58′, Good Films, in uscita il 15 ottobre 2015

Voto: 6 su 10

Ai più il nome di Yorgos Lanthimos non dirà molto, ma il pubblico meno affine al multiplex lo ricorderà per alcune bizzare pellicole “da festival” come Dogtooth e Alps. Con The Lobster, premio della giuria a Cannes 2015, il regista greco ritorna ad affrontare temi a lui cari, come solitudine e affettività nelle loro molteplici declinazioni, nuovamente in chiave surreale e grottesca, ma per la prima volta all’interno di una ricca produzione internazionale. Vero è anche che i film di Lanthimos non sono mai banalmente collocabili in un genere, nè godono di formule narrative canoniche: partendo da un’apologia, almeno sulla carta, irresistibile e densa di chiavi di lettura, si arriva poi a sviluppi che, di fatto, abbandonano malamente il discorso di partenza.

image003The Lobster (“l’aragosta”) è una distopia futuristica neppure troppo remota in cui agli esseri umani è vietato essere single. David (Farrell), rimasto solo dopo una relazione durata 12 anni, viene internato in un albergo con la missione di trovare una compagna nel giro di 45 giorni, come da prassi per quelli che si trovano nella sua inaccettabile situazione; se non ci riuscirà, verrà trasformato in un animale a sua scelta. Incapace di sottostare alle assurde regole della direzione, David scappa nei boschi circostanti e si unisce a un gruppo di ribelli solitari che condanna ogni tipo di accoppiamento. Qui, dove non potrebbe, si innamora di una donna miope (Weisz)…

Dotato di un senso del grottesco spesso esilarante e, al contempo, di una causticità anche violenta verso le miserie e le paure dell’essere umano (di vivere da solo, di morire da solo, di vivere con qualcuno), The Lobster soffre lo squilibrio evidente tra l’assunto principale, decisamente notevole, e lo sviluppo, via via, sempre più distaccato e claudicante dell’azione, tra musiche disperanti e surrealismo poco centrato. A una prima parte fulminante per la mostruosa ironia messa in campo, perfettamente bilanciata con una messa in immagini di certosina ricercatezza, fa seguito una seconda in cui il germe della riflessione ad ogni costo diventa solo sterile e inefficace artificio stilistico. Col risultato di sperperare la potenza suggestiva iniziale e l’abnegazione degli attori verso una recitazione catatonica e distante. Trovare un senso al film è difficile almeno quanto svelare le tante possibili metafore, sempre che non ci si sia addormentati prima. Si finisce per restare fastidiosamente perplessi.

Giuseppe D’Errico

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