
Tirato un sospiro di sollievo per la chiusura dei battenti dell’ultima edizione del Festival della Canzone Italiana di Sanremo, la numero 63, che ha visto impalmare Marco Mengoni con L’essenziale, proviamo a stilare un pagellone definitivo su una delle istituzioni più irremovibili ( e meno male) della nostra tv di stato.
Il Festival: 6½. L’impressione è che non sia mai davvero decollato, il tedio ha fatto capolino in lungo e in largo e il nuovo regolamento, con doppia canzone per ogni Big in gara, si è rivelato inutilmente contorto, prolisso e dispendioso. Generale atmosfera da “austerity”, a dir poco evanescenti i superospiti (un tempo li chiamavano così), spesso irritante il tono socio-politico dell’intrattenimento. Completamente nullo il versante “glamour”, idem dicasi per la sezione “scandali”.
La conduzione
Fabio Fazio: 7. Con quell’aria da nerd saputello, è riuscito a tenere a bada cinque giorni di kermesse sanremese senza cedimenti. Un maestrino controllatissimo, abile nel dosarsi e nel dosare chiunque gli stia intorno.
Luciana Littizzetto: 9. Un tornado di vitalità e simpatia, capace di tempi comici irresistibili e di un senso dell’ironia leggiadramente triviale. Grillo o farfalla, Lucianina ha dissacrato la messa cantata con un acume da fuoriclasse; suoi i momenti seri più riusciti del Festival. Ormai è leggenda, nonostante gli orribili zatteroni.
Gli ospiti
Bar Rafaeli: 2. Assai antipatica e affatto umile, ha steso tutti al suolo con due colpi di batteria.
Bianca Balti: 4. Talmente svaporata da sembrare irreale, è stata al gioco della bella tra i brutti senza nemmeno rendersene conto. Fortunatamente, ha fornito l’assist perfetto (anche questo casualmente) per una esilarante ovazione della Littizzetto. Voto 0 per l’orribile paccottiglia che le hanno appeso per due volte ai lobi delle orecchie.
Andrea Bocelli: 4. Nulla più che una marketta, piuttosto noioso il tutto.
Claudio Bisio: 2. Un intervento, il suo, terrificante; satira semiseria da latte alle ginocchia.
Maurizio Crozza: 6. L’arte del riciclo (pezzi ampiamente rimasticati…) non ha sventato quello che è stato il momento topico dell’edizione 63 del Festival, la contestazione in odor di fascio dalla platea dell’Ariston.
Felix Baumgartner: 2. Per la serie, macheccefrega.
Toto Cutugno: 6. Chi non molla si rivede!
Beppe Fiorello: 5. Ovvia marketta per la fiction di imminente uscita, assai trombone e poco in fiore.
Carla Bruni: 3. Autoironica? Le è convenuto, considerando quanto è brutta e antipatica. Meno male che ci ha pensato Lucianina a sistemarla.
Asaf Avidan: 4. Grida di dolore e struggimento molesto in melodia. Gli hanno chiesto di fare addirittura il bis, cosa che prima capitò solo con Whitney Houston…
Roberto Baggio: 6. Momento sociale dal quale Robertone ne esce con onore.
Al Bano (con Laura Chiatti): 3. Potevamo farne a meno, potevamo proprio farne a meno.
Pippo Baudo: 3. Il solito mangiatutto.
I cantanti
Marco Mengoni: 6. Il re matto ha vinto a furor di popolo, la canzone però è un lentone di rara banalità e lui la esegue senza risparmiarsi in gattamortismi vari. Almeno è bravo.
Elio e le storie tese: 7. Una ga(n)g geniale, più che una canzone, uno spettacolo squisito. Premio della critica, per il miglior arrangiamento e secondo posto sul podio: un trionfo.
Modà: 4. Ormai è ufficiale, gli urlatori sono tornati, vivono e lottano in mezzo a noi. Un pezzo strappalacrime, retorico e piuttosto odioso nelle sue pretese poetiche. Il pubblico li acclama: terzo posto ed è grasso che cola.
Malika Ayane: 6. Canzone meno ricercata del previsto (featuring Giuliano Sangiorgi), discretamente orecchiabile ma comunque anonima; punitivi il miserabile look da Marilyn dei poveri e i birignao vocali e gestuali ormai fuori controllo.
Raphael Gualazzi: 5. Un jazz disordinato e flebile, ammantato di acerba autorevolezza. Indiscutibile il talento del suo interprete, modesto il risultato.
Daniele Silvestri: 4. Il solito piagnisteo, socialmente edulcorato e ruffiano, che a Sanremo non manca mai.
Max Gazzè: 7. Una canzone possente, un’interprete imprevedibile.
Chiara Galiazzo: 5. Un talento straordinario ingabbiato in un tango datato e banale. Peccato.
Annalisa Scarrone: 5. Voce cristallina e personalità pepata per un brano che aspira blandamente al tormentone. Inutile.
Maria Nazionale: 2. Il ritorno della sceneggiata in formato lagna. Un vero incubo.
Simone Cristicchi: 5. Una canzoncina funerea e triste, il primo a non crederci sembrava proprio il buon Cristicchi.
Marta sui tubi: 6. Un pezzo vigoroso, pericolosamente sul bilico dell’enfatico, interpretato con forse eccessiva passione dal frontman del gruppo.
Simona Molinari con Peter Cincotti: 4. Tabarin senza grandi idee e poco smalto, come sprecare delle ottime potenzialità. Fallimentare.
Almamegretta: 3. Fuori luogo a dir poco, annoiati, stanchi, quasi goffi. Ultimi. Da dimenticare.
Sanremo Giovani: N.C. causa esibizioni in orari da vampiri. Se ne dice un gran bene. Si spera, cari ragazzi, che qualcuno vi dia in futuro una chance più soleggiata. Molto bravo, comunque, il vincitore Antonio Maggio, rivisto a Domenica In nel pomeriggio, voto 7.
Giuseppe D’Errico
ma questa recensione è troppo divertente!!!!! fantastica!!! ogni voto è una grassa risata, soprattutto per i voti bassi 🙂 hahahahahahaah