
Rush (id, Usa, 2013) di Ron Howard, con Chris Hemsworth, Daniel Brühl, Olivia Wilde, Alexandra Maria Lara, Pierfrancesco Favino, Jay Simpson
Sceneggiatura di Peter Morgan
Biografico, 2h 05’, 01 Distribution, in uscita il 19 settembre 2013
Voto D’Errico: 7 su 10
Voto Ozza: 8 su 10
Se il film di Ron Howard ha un merito indiscutibile e, per questo, rimarchevole oltre ogni altro elogio, è quello di rendere appassionante una storia di circuiti e motori anche a chi non ha mai visto un gran premio in vita sua, e che a stento conosce di nome Nicky Lauda e ignora l’esistenza di James Hunt. Applausi, dunque, per l’abilità narrativa di questo biografico sportivo su una delle più celebri rivalità agonistiche degli anni Settanta.
Rush, infatti, oltre a tratteggiare un affresco d’epoca di pastosa aderenza visiva, spiega le divergenze a tutto campo tra due sfidanti che infiammarono le piste da corsa tra il 1970 e il 1976, l’inglese James Hunt (Hemsworth), bellone sregolato negli eccessi di vita e nell’istintività automobilistica, e l’austriaco Nicky Lauda (Brühl), geniale e metodico, soprattutto nel valutare i margini di pericolo di ogni gara. I titoli mondiali si rincorreranno, fino al fatidico duello di Nürburgring, denominato “il cimitero”, e allo scontro finale a Fuji.
Peter Morgan, sceneggiatore di grande raffinatezza (The Queen, Hereafter, Passioni e desideri) e nuovamente al fianco del regista dopo Frost/Nixon, gioca di opposti nella scrittura dei personaggi, ai limiti del manicheo (bello e brutto, simpatico e antipatico, Ferrari e McLaren…) e, proprio per questo, funzionali al duello storico di una delle più memorabili stagioni che l’automobilismo ricordi. Parimenti, sottolinea i rischi sportivi, ai tempi ben più alti rispetto a oggi, il diritto alla paura di Lauda, la sfida contro la morte di Hunt, dando vita a un bell’esempio di suspense interiore. Delude, invece, il racconto prettamente privato dei protagonisti, costruito secondo un sicuro e riconoscibilissimo stampo da biopicture, che prevede dialoghi spesso infelici e avvenimenti risolti superficialmente (dal matrimonio lampo di Hunt con la modella americana Suzy Miller, interpretata da Olivia Wilde, alle interferenze delle rispettive scuderie sulle strategie di gara da adottare).
Senza troppa fatica, i momenti migliori sono tutti sulla pista: Howard sfodera tutta la sua grinta nelle concitate sequenze di corsa, assembla (grazie anche a un montaggio semplicemente strepitoso) inquadrature realizzate ex novo, materiali d’archivio e computer grafica a ritmo elevatissimo, ottenendo il miglior risultato in termini di coinvolgimento e pathos. E sa dirigere i suoi attori, l’intenso Daniel Brühl (imbruttito ad arte) e un Hemsworth sorprendentemente carismatico. C’è anche il nostro Favino, nei panni del pilota Clay Regazzoni, ruolo però poco sviluppato.
Giuseppe D’Errico
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