“Porcile” di Pier Paolo Pasolini, uno spettacolo di Valerio Binasco, la recensione

PORCILE
di Pier Paolo Pasolini

regia Valerio Binasco
scene Lorenzo Banci
costumi Sandra Cardini
musiche Arturo Annecchino
luci Roberto Innocenti
personaggi e interpreti
Padre Mauro Malinverno
Madre Alvia Reale
Julian Francesco Borchi
Ida Elisa Cecilia Langone
Hans-Guenther Franco Ravera
Herdhitze Fulvio Cauteruccio
Maracchione Fabio Mascagni
Servitore di casa Pietro d’Elia

coproduzione Teatro Metastasio Stabile della Toscana / Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia con la collaborazione di Spoleto58 Festival dei 2Mondi

In scena all’Arena del Sole di Bologna

Voto: 5 su 10

Pier Paolo Pasolini è sicuramente uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo. Citarlo, leggerlo, metterlo in scena vuol dire catturare un pensiero fulgido, brillante e, coglierne il senso, significa catturare tutta l’energia rivoluzionaria insita nelle sue opere, nelle sue riflessioni.

Valerio Binasco con il suo riadattamento teatrale di “Porcile”, andato in scena all’Arena del Sole di Bologna, ha però tentato di fare un’altra operazione, quella di estrapolare, dal dramma scritto da Pasolini nel 1966 e divenuto poi film nel 1969, il lato esclusivamente umano, concentrandosi sulla narrazione della storia avulsa da intellettualismi e letture ideologiche, con l’intento di restituire l’opera a un pubblico popolare.

La prima domanda che viene da farsi quando si assiste alla messinscena di Binasco è: perché discostarsi così tanto dagli intenti per cui quest’opera è stata scritta e pensata? Da dove nasce la volontà, espressamente denunciata, di allontanarsi dal tessuto pasoliniano? E infine, date tutte queste premesse, perché scegliere un’opera di Pier Paolo Pasolini quando quello che si vuole mettere in scena è qualcosa di quanto più lontano dal suo universo artistico e intellettuale? Sembra una sorta di sfida, una provocazione di cui lo stesso regista conosceva, molto probabilmente, gli esiti. E allora, viene da chiedersi, perché perseguirla.

È ciò che si cela dietro questa storia, piena di disgusto, a rendere Porcile una delle opere nelle quali Pasolini ha maggiormente evidenziato il disagio per un certo tipo di società e per il “Potere”, ponendo il suo accento critico al bigottismo e alle finte apparenze di una borghesia che cela profonde perversioni. Di ogni natura. Siamo nel 1967 in una tenuta borghese a Godesberg vicino Colonia, nell’area più industrializzata della Germania. Lo spettacolo, come lo aveva pensato Pasolini, è diviso in undici episodi, Binasco ne mette in scena solo dieci eludendo l’episodio nel quale Julian incontra Spinoza, uno dei più significativi dell’opera.

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Protagonisti sono Julian, un giovane ragazzo borghese, figlio di un abbiente industriale dell’alta borghesia tedesca, corteggiato in modo insistente da Ida, una giovane fanciulla, anche lei ricca di estrazione che, non essendo contraccambiata, per noia e per passare il tempo, cerca nell’impegno politico una sorta di svago e di senso della sua esistenza. Julian, invece, è un personaggio dall’animo indeciso, un inetto, con atteggiamento passivo nei confronti dell’esistenza, ma anche con un forte senso di ripudio per i valori dei suoi genitori: denaro, potere, forma e corruzione. Sua unica passione e perversione segreta sono i maiali, che rappresentano l’indicibile oggetto del suo amore. A scoprirlo sarà il rivale in affari del padre, Herdhitze, ex nazista che baratterà con Klotz, in un reciproco ricatto, “una storia di maiali per una storia di Ebrei”. I due riusciranno nei loro affari fondando una società ma, durante i festeggiamenti, i contadini irrompono con un’atroce missiva: Julian entrato ancora una volta nel porcile, è stato sbranato dai maiali e di lui non resta più nessuna traccia.

La regia di Binasco toglie ai personaggi di Pasolini ogni sfumatura pensata nel testo originale, nel quale sono polivalenti e strutturati, per trasformarli in tipi sociali molto stilizzati e dalle caratteristiche eccessivamente definite e nette. Julian, ad esempio, viene trasformato in un ragazzo insicuro, quasi una vittima sia dell’ambiente in cui vive che della parafilia, la sua perversione. Tutt’altro era il protagonista di Pasolini: cinico, irriverente, beffardo e anaffettivo per narcisismo e per una sua volontà di disimpegno nei confronti delle cose e delle persone.

Quello che più discosta dall’originale e stride fortemente con il senso stesso di tutta l’opera pasoliniana, però, è il modo in cui sono stati rappresentati i genitori di Julian. Nelle intenzioni originarie la coppia è terribile nell’esprimere la disumanità, conformista, emblema dello squallore e dell’ipocrisia della borghesia. In questa pièce, invece, viene creata una specie di macchietta caricaturale.  Quello che voleva essere un pugno in faccia al pubblico sulle contraddizioni della borghesia, sull’immoralità e le aberrazioni di questa classe sociale qui diventa semplicemente una specie di caricatura, quasi pittoresca che restituisce anche una certa umanità ai personaggi, sottraendo gli spettatori dal senso di responsabilità politica con cui dovevano fare necessariamente i conti guardando “Porcile”.

Nella messa in scena di Binasco quello che manca è proprio la rappresentazione di quel “Porcile” umano che Pasolini voleva rappresentare, considerandolo il luogo del potere cinico, totalitario, satanico, fondato sul ricatto politico ed economico, volgare e squallido.

Amelia Di Pietro

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