“Oculus”, specchi e luccicanze nell’horror rompicapo di Flanagan

Oculus (id, Usa, 2014) di Mike Flanagan con Karen Gillan, Katee Sackhoff, Brenton Thwaites, James Lafferty, Rory Cochrane, Annalise Basso, Garrett Ryan, Miguel Sandoval

Sceneggiatura di Mike Flanagan, Jeff Howard

Horror, 1h 45′, M2 Pictures, in uscita il 10 aprile 2014

Voto: 6 su 10

Prima di dirigere Absentia nel 2010, Mike Flanagan si costruì una certa fama nel microcosmo dell’horror indipendente col cortometraggio Oculus, un racconto tetro e scarno, ambientato in un’unica stanza, con un solo personaggio e un budget di appena 2.000 dollari. Ora quel corto è diventato un lungometraggio che arriva nelle sale italiane in anteprima mondiale, in una stagione non particolarmente esaltante per il genere. 

OCULUS_posteritaLo spettatore esperto di case infestate, feticci malefici e psiche instabili non farà fatica a riconoscere le imprese di Kaylie (Gillan) e Tim (Thwaites) Russell, due fratelli che dieci anni prima sopravvissero alla furia assassina dei genitori (Sackhoff e Cochrane), rimasti succubi di una forza maligna che alberga in un antico specchio di proprietà della famiglia. Dopo aver scontato una pena con l’accusa di duplice omicidio, Tim esce dal carcere e ritrova Kaylie, intenzionata a far luce sulla vecchia tragedia: la ragazza ha infatti scoperto che, nel corso dei secoli, i proprietari dello specchio sono stati vittime di morti violente e senza apparenti spiegazioni. Senza rendersene conto, rivivranno l’incubo della loro infanzia…

Tira aria di luccicanze e rancori in Oculus di Mike Flanagan: decisamente noiosa e sbrodolata la prima parte, sprecata ad intavolare la linea di documentazione della protagonista che impugna minacciosa una telecamerina, inutile dazio alla new wave del mockumentary;JE3_7854.NEF ben più calibrata la seconda, costruita come un rompicapo temporale in cui i fantasmi del passato ritornano a fare sgradita visita nel presente. Il finale è perfettamente logico ma manca quella risoluzione necessaria che slitta chissà quanto volutamente al possibile sequel. C’è invece una buona dose di spaventi e ambiguità famigliari, ben fornita da attori in vena (soprattutto la coppia Katee Sackhoff e Rory Cochrane). Alla fine, la domanda che affligge il critico all’uscita è: ma chi mai terrebbe appeso al muro di casa uno specchio tanto brutto e minaccioso? Paradossi dell’horror.

Giuseppe D’Errico

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