“Minchia signor tenente”, Antonio Grosso e la quotidianità di una strage

LUX T presenta
MINCHIA SIGNOR TENENTE
di Antonio Grosso, regia Nicola Pistoia
con Daniele Antonini, Gaspare Di Stefano, Alessandra Falanga, Antonio Grosso, Francesco Nannarelli, Antonello Pascale, Francesco Stella, Ariele Vincenti e con Natale Russo
luci Luigi Ascione, scene Fabiana Di Marco, costumi Maria Marinaro, grafica Andrea Ranaldi, elettricista Claudio Lelli, promozione Roberta Federica Serrao, aiuto regia Luigi Pisani, distribuzione Razmataz
In scena al Teatro Ghione di Roma fino all’11 maggio

Voto: 8 su 10

In scena dal 2008 e giunto, nella prima del 2 maggio, alla 160a replica, Minchia signor tenente di Antonio Grosso è un testo che ha ottime prospettive di rientrare nell’albo del più apprezzato teatro comico italiano contemporaneo. Autore sensibile e attore formidabile, Grosso ha trovato ispirazione per lo spettacolo da un ricordo famigliare: classe 1982, figlio di un ex maresciallo dei carabinieri, era seduto col padre a guardare la finale di Sanremo del 1994, annata che decretò la vittoria di Aleandro Baldi e l’argento per un inedito Giorgio Faletti che al Festival portò la canzone di denuncia “Signor tenente”. L’impressione fu enorme, tanto da mutarsi nel tempo in stimolo drammaturgico per questa giustamente applauditissima pièce, capace di unire con assoluta serenità la migliore risata della grande tradizione teatrale napoletana (riecheggiano Eduardo e La Smorfia, ma le suggestioni sfiorano anche Totò e Indietro tutta) alla ferita mafiosa che, sottovoce, è oggi ancor più dolorosa.

minchia-lowIn un’isoletta siciliana c’è una caserma dei carabinieri in cui non succede mai niente. Gli appuntati, di provenienze geografiche assortite, al massimo evadono qualche noiosa pratica sui permessi di caccia. C’è un omettino del posto che spesso li raggiunge per qualche sconclusionata denuncia, una panettiera innamorata del soldatino umbro-marchigiano e un latitante che gira in paese sul quale è meglio far finta di niente. La vita quotidiana scorre monotona fino all’arrivo di un tenente inviato dal comando generale, predisposto all’assegnazione di una missione delicata: scortare un noto magistrato minacciato di morte dalla mafia. È il maggio del 1992.

Antonio Grosso racconta uno dei periodi più bui della recente storia italiana con i toni della commedia popolare. Ben consapevole della concentrazione di film e fiction televisive sull’argomento, si prende l’ardire di portare in scena il lato comico, in luogo di quello tragico, di uomini comuni che divennero eroi, di militari che hanno pagato con la vita la dedizione all’arma e agli ideali di legalità, persone grandi allo stesso modo di tutti i magistrati, i giornalisti e gli attivisti che vengono ricordati tra le vittime di mafia. La scelta di inserire la denuncia civile nell’epilogo di un canovaccio fatto di esilaranti lazzi brillanti e tenere scorrerie sentimentali può apparire discutibile, così come l’utilizzo drammatico della strage di Capaci non trova la perfetta dimensione biografica in una ricostruzione che, forse per eccesso di pudore, si ispira solo idealmente ai ragazzi della scorta di Giovanni Falcone. Lo spettacolo però è genuino, dinamico e vitale, non c’è sospetto di ruffianeria ma solo la sincera volontà di riportare alla memoria collettiva i protagonisti di un gesto che deve poter continuare a smuovere le coscienze, un simbolo di lotta nei confronti di un cancro decisamente battibile. Si ride a crepapelle e ci si emoziona senza troppa enfasi nel finale commemorativo, con Jovanotti a fare da sottofondo. Sul palco, una dimostrazione di alto professionismo e di splendida coralità attoriale, sotto l’attenta direzione di Nicola Pistoia. Perfezionabile, ma Minchia signor tenente è uno spettacolo che vale già tanto.

Giuseppe D’Errico

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