“Le braci” di Sándor Márai, uno spettacolo di Laura Angiulli, la recensione

LE BRACI

di Sándor Márai

Regia e drammaturgia Laura Angiulli

Con Renato Carpentieri e Stefano Jotti

Adattamento Fulvio Calise

Scene Rosario Squillace

Disegno luci Cesare Accetta

In scena al Teatro Piccolo Eliseo di Roma

Voto: 8 su 10

Un’ora per dare un senso ad un’attesa che dura da quarant’anni, il faccia a faccia aspettato per tutta la vita durante il quale poche frasi lapidarie si alternano a risposte negate e a silenzi che raccontano i vuoti di tre vite segnate dalla rinuncia.

Henrik, generale ormai in congedo permanente, perse l’amico di una vita, quel Konrad che ora impazientemente attende, quando l’uomo si allontanò verso terre lontane e solitarie, allorché – anni addietro – venne scoperta la relazione adultera di costui con Krisztina, moglie ora defunta dello stesso Henrik.

In una delle stanze di una dimora della solitudine e dei ricordi ormai lontani, il personaggio interpretato con maestosa malinconia da Renato Carpentieri accoglie colui che da fanciullo e da giovane gli fu caro come un fratello, capace, tuttavia, di meditare il suo omicidio per poter stare assieme alla sua donna: lei era a conoscenza delle sue intenzioni? Per quella passione è stato giusto distruggere la propria e l’altrui felicità? Due sole domande meditate per quattro decenni, due risposte non date nel corso di un incontro che – più che un confronto – sembra essere un ultimo ragionamento a voce alta prima di chiudere a chiave, stavolta per sempre, un passato che tutto ha già sottratto e nulla, palesandosi, può aggiungere o spiegare.

Fantasmi che non si toccano Carpentieri e Stefano Jotti, presenti sulla scena, benché entrambi persi nei pensieri dei rispettivi personaggi, a restituire doverosamente la loro assenza al presente, luogo indifferente di due esistenze terminate da tempo, come il legame d’amicizia che condivisero in un passato più felice, e che triste sopravvive, solamente, nei loro ricordi lontani. Laura Angiulli, alla regia, costruisce uno spettacolo di essenziale precisione, sfruttando al meglio i pochi elementi scenografici che danno corpo al racconto dello scrittore ungherese Sándor Márai: le sedie per l’attesa, dove sopire il pensiero e attendere risposte che mai arriveranno, una piccola stufa dove si consuma un fuoco tenue, una cornice che non racchiude alcun ritratto. L’immagine finale è affidata al gioco di luci di Cesare Accetta, che palesa sulla scena quella gabbia che il vecchio generale è – forse – riuscito a lasciarsi alle spalle.

Marco Moraschinelli

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.