“Gli amici di Peter” di Martin, Marcé e Martin, uno spettacolo di Stefano Messina, la recensione

GLI AMICI DI PETER

di Jean-Baptiste Martin, Olivier Marcé, Frédéric Martin, dall’omonimo film di Kenneth Branagh

traduzione a cura di Giovanna Napolitano – adattamento Stefano Messina

regia Stefano Messina, scene Alessandro Chiti, luci Valerio Camelin, foto Manuela Giusto

con (in ordine alfabetico) Simone Balletti, Virginia Bonacini, Chiara Bonome, Andrea Carpiceci, Stefano Dilauro, Stefano Flamia, Camilla Nigro, Enrica Pintore e con Simonetta Graziano

Produzione Attori & Tecnici

In scena al Teatro Vittoria di Roma dal 5 al 15 maggio

Voto: 7½ su 10

Gli amici di Peter è uno di quei piccoli cult dimenticati dei primi anni Novanta (invisibile in tv da decenni e presente sul mercato home video in un’edizione della Multivision dal viraggio verdastro e priva dell’audio in lingua originale) che, pur non brillando propriamente per originalità, rappresenta non solo una delle gemme più curiose nella nobile e poderosa filmografia del suo regista Kenneth Branagh, ma anche un momento fondamentale per la cinematografia inglese, che si apprestava a fare i conti con la narrazione della restaurazione thatcheriana. Sorta di “grande freddo” britannico e prova generale di coralità per il successivo, e altrettanto irresistibile, “Nel bel mezzo di un gelido inverno”, Gli amici di Peter è ora anche un testo teatrale di Jean-Baptiste Martin, Olivier Marcé e Frédéric Martin, che riscrivono la sceneggiatura a orologeria firmata da Rita Rudner (che nel film era Carol, la moglie volgare e fanatica del fitness di Andrew) e Martin Bergman, senza snaturarla a favore di nuove interpretazioni, ma confermandone il senso profondo di nostalgia e inadeguatezza.

Il topos della riunione a causa di un evento luttuoso è il pretesto per una storia di amicizia che si scontra con le insoddisfazioni di tutta una generazione: sei amici, universitari e commedianti, si ritrovano dopo dieci anni per il veglione di fine anno da festeggiare nella grande magione ereditata da Peter dopo la morte del padre, e nei tre giorni che seguiranno tutti avranno litigato con tutti, ma anche rafforzato un legame che, nonostante il tempo e le distanze geografiche, non ha mai smesso di essere vivo e che resta racchiuso nella spensieratezza di una polaroid scattata al termine di una vecchia, disastrosa rappresentazione.

Personaggi divertenti e ben caratterizzati, che meritano di essere raccontati e capiti nelle loro idiosincrasie, trovano il giusto spazio in quest’allestimento sobrio ed efficace di Stefano Messina, che divide la scena con un elegante gioco di quinte e pannelli, sapientemente illuminata in modo da non confondere l’attenzione dello spettatore. Il dialogo a rotta di collo, talvolta meravigliosamente greve, più spesso malinconico e riflessivo, mette alla prova un gruppo di giovani interpreti decisamente affiatato, che riesce a farsi perdonare una recitazione ancora un po’ acerba con la grinta di chi ha davanti a sé un bel futuro sul palco. Applausi meritatissimi per uno spettacolo che sa dosare sorrisi e riflessioni con gusto e intelligenza.

Giuseppe D’Errico

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