“I, Frankenstein”, dimenticate il mito, un fantasy tristemente puerile

I, Frankenstein (id, Usa/Australia, 2014) di Stuart Beattie, con Aaron Eckhart, Bill Nighy, Yvonne Strahovski, Miranda Otto, Jai Courtney

Sceneggiatura di Stuart Beattie, ispirato alla graphic novel di Kevin Grevioux

Fantasy, 1h 32′, Koch Media, in uscita il 23 gennaio 2014

Voto: 2½ su 10

Povera Mary Shelley, quante volte le hanno deturpato il suo romanzo… Non si contano neppure le trasposizioni più o meno da esso tratte, pochissime quelle in grado di rendere giustizia ai sottilissimi compromessi etici e morali e alla straordinaria profondità psicologica di quelle pagine. Questa di Stuart Beattie, già sceneggiatore dei Pirati dei Caraibi, è solo una pretestuosa riattualizzazione del mito, giacché delle gesta di Frankenstein non resta traccia se non nel fulmineo prologo. 

i_frankenstein_ver7_xlrgI, Frankenstein è invece ispirato a una graphic novel di Kevin Grevioux, che proietta la Creatura (un nerboruto Aaron Eckhart) nei giorni nostri, in un’anonima città europea dove, all’oscuro degli esseri umani, si consuma la millenaria battaglia tra i gargoyle divini e i demoni infernali (sic!). La principessa dei primi (una Miranda Otto pietrificata come ruolo impone) prende sotto la sua ala protettrice il triste mostro, ribattezzato Adam (e come altrimenti!), perennemente accigliato perché non ha un’anima come gli altri uomini. Il signore supremo dei secondi (uno spaesato Bill Nighy), a capo di una centrale in cui si cerca di ridare vita ai cadaveri per carpirne lo spirito e impadronirsi così dell’intera umanità, ha bisogno del diario del dottor Victor Frankenstein per i suoi piani. Adam si darà dapprima alla macchia, poi porrà inizio alla grande guerra a colpi di arti marziali assortite. Ad aiutarlo c’è ovviamente una bella dottoressa bionda (la Yvonne Strahovski di Dexter).

Target di pubblico sullo scolare andante per un fantasy tristemente puerile, con un occhio all’estetica da playstation (e mascheroni ringhianti che fanno rimpiangere il make up di una puntata di Buffy l’ammazzavampiri) e un orecchio ai più assordanti blockbuster caciaroni degli ultimi anni, con la saga Underworld costantemente sotto mano. Inutile cercare nessi con l’archetipo di base, né avere nostalgiche avvisaglie di ironia. E povero Aaron Eckhart, da Neil LaBute a questa roba…

Giuseppe D’Errico

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