Django Unchained (Django Unchained, USA 2012) di Quentin Tarantino, con Jamie Foxx, Leonardo Di Caprio, Christoph Waltz, Kerry Washington, Samuel L. Jackson, James Remar, Don Johnson, Franco Nero, Robert Carradine, Bruce Dern, Dennis Christopher, Zoe Bell, James Russo, Tom Savini, Quentin Tarantino
Soggetto e sceneggiatura di Quentin Tarantino
Western/pulp, 2h 45′, Warner Bros Pictures Italia, in uscita il 17 gennaio 2012
Voto Ozza: 7½ su 10
Voto D’Errico: 6 su 10
Tarantino non si smentisce: decisamente divertente questa riproposizione nel 2013 del genere Western in chiave pulp. L’amore che Quentin nutre per il cinema italiano lo si vede palesemente sullo schermo, fotogramma per fotogramma, in questo dichiarato omaggio a Corbucci e al suo Django, dignitosamente interpretato dal bravo Jamie Foxx cui fa spalla un bravissimo Christoph Waltz, giustamente candidato agli Oscar 2013 (del prossimo 24 febbraio) come Miglior attore non protagonista. Ironia, tanta ironia, sul genere: il modo più intelligente di portare sullo schermo battute come “Mi fulminerai come un cane sulla strada?” o “Perché piantate grane nelle mia città?”. Ma anche tanta nostalgia di un cinema che ha fatto scuola, ha creato miti, eroi, modi di dire. L’unica pecca forse la si rintraccia nella durata: 165 minuti si fanno sentire, un final cut meno indulgente sul minutaggio avrebbe valorizzato ancora di più questa pellicola. Probabilmente non vincerà l’Oscar come miglior film ma questo Django va visto al cinema, godendosi le belle inquadrature, l’irresistibile colonna sonora (che frulla insieme Morricone, Bacalov e Rza) e i dialoghi taglienti: tutti ingredienti ormai costanti degli appetitosi film che portano la firma di Tarantino.
Andrea Ozza
La sua fama lo precede ma l’attesa è stata solo parzialmente ripagata. Quanto chiasso per questo Django scatenato, ultima fatica del geniale nerd di Knoxville Quentin Tarantino che, ad ogni prova, reimpasta idee e cinefilia con superbo gusto iconoclasta e irrefrenabile capacità spettacolare.
Agli sgoccioli della guerra civile americana, nel profondo Sud degli Stati Uniti, un dentista tedesco riciclatosi cacciatore di taglie (Christoph Waltz), libera lo schiavo di colore Django (Jamie Foxx) per lasciarsi condurre dai famigerati fratelli Brittle. Lo addestrerà all’arte della pistola e insieme giungeranno a Candyland, la più infame piantagione di cotone del Mississippi dello spietato possidente Calvin Candie (Leonardo Di Caprio), schiavista appassionato di lotte tra “negri”: è qui, infatti, che si trova Broomhilda (Kerry Washington), la moglie che Django ha perduto anni prima durante i commerci di schiavi. Il piano per liberarla sembra non fare una grinza ma il perfido Stephen (Samuel L. Jackson), fidatissimo servitore di Candie, fiuta l’inganno e pone le basi per una carneficina.
Come in Bastardi senza gloria, Tarantino riscrive la Storia permettendosi licenze che vanno al di là dell’impossibile: questa volta prende il genere americano per antonomasia, il Western, e lo rigira secondo le nuances fangose dell’amato e idolatrato spaghetti all’italiana, rendendo omaggio a Sergio Corbucci e al suo Django del 1966 (e a Franco Nero, che appare in un cameo).
Non un racconto di pionieri e padri fondatori, ma un pezzo di orripilante passato macchiato dalla colpa schiavista; non una vicenda credibile, ma un’avventura incredibile dove un nero, ex schiavo, diventa un cacciatore di taglie a cavallo, rispettato e riverito, con di fianco un collega bianco tedesco, il tutto nell’irrequieto e micidiale Sud razzista.
Questa volta, però, tutto sa di maniera e l’iperbole di fantasia non è altrettanto funzionale come nell’opera precedente, dove il paradosso storico diventava ispirazione e fonte per un ideale liberatorio e sfacciatamente impertinente.
In Django Unchained, Tarantino tracima praticamente in ogni settore, rimastica vezzi stilistici già visti, accumula dialoghi di sconfortante autocompiacimento, abusa di una violenza grottesca più vicina al videogame che non al cinema, soprattutto perde la capacità di narrare e le riflessioni su temi onerosi non vanno più a fondo che nel vecchio (e vituperato) Mandingo di Fleischer.
La messa in scena resta magistrale e la potenza evocativa dell’eroe è indubbia, ma permane la delusione cocente di un film fatto essenzialmente per sedare la sete cinefila del suo regista e della folta schiera di ammiratori adoranti al suo seguito: mai prima d’ora la sensazione era stata tanto netta.
Nonostante una durata spropositata, il film riesce in qualche modo a trovare una sua via di fuga, soprattutto per merito della lussureggiante acribia di confezionamento (menzione speciale per le musiche d’epoca di Morricone e Bacalov, con le voci di Elisa, John Legend e Rocky Roberts) e delle performance strepitose degli interpreti: Foxx ha carisma e physique du role, ma la scena è tutta per Waltz (in un’evoluzione positiva dell’Hans Landa che gli fruttò l’Oscar) e per un Di Caprio straordinariamente luciferino.
Moderatamente divertente, un capolavoro di piacioneria.
Giuseppe D’Errico
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