CHE DISASTRO DI COMMEDIA
di Henry Lewis, Jonathan Sayer, Henry Shields
traduzione Enrico Luttmann
con Luca Basile, Alessandro Marverti, Valerio Di Benedetto, Yaser Mohamed, Marco Zordan, Stefania Autuori, Viviana Colais, Gabriele Pignotta
Scene: Nigel Hook, riprese da Giulia De Mari
Assistente scene: Cristina Gasparrini
Costumi: Roberto Surace, ripresi da Francesca Brunori
Musiche: Rob Falconer
Disegno Luci: Marco Palmieri
regia di Mark Bell
In scena al Teatro Brancaccio dal 5 all’8 aprile
Voto: 8½ su 10
Cosa succede quando una produzione amatoriale mette in scena un giallo alla Agatha Christie e sul palco, mentre la performance va in scena, accade ogni possibile disgrazia nello spettro del possibile (e dell’impossibile)? Immaginate – a qualcuno sarà capitato – che gli attori dimentichino le battute, che la scenografia perda pezzi, che un tecnico del suono “distratto” inserisca musiche e effetti sonori fuori tempo. Irritante, fastidioso, certamente imbarazzante sia per le persone sul palco che per il pubblico in sala.
E invece no. Che disastro di commedia non è infatti per niente messo in scena da una sgangherata compagnia di dilettanti, ma è, al contrario, un perfetto meccanismo spettacolare che regala quasi due ore di spassionato divertimento, risate oneste e buonumore a profusione.
L’idea, a ben pensarci, è semplice: trasformare la rappresentazione di un giallo in una slapstick comedy, con gli attori che (mal) interagiscono con uno spazio scenico che poco a poco perde pezzi, ma che caparbiamente tentano di portare a conclusione uno spettacolo che è, a tutti gli effetti, un colossale disastro.
Di semplice, tuttavia, nulla c’è in questa commedia che si fregia di una scenografia studiata ad arte e nella quale lavorano performer che, differentemente dai personaggi che rappresentano, hanno tempi comici perfetti e un assoluto affiatamento d’insieme. Intelligente, per di più, poiché c’è un uso sapiente del meccanismi dello spettacolo dal vivo in questo lavoro registico di Mark Bell, in cui il teatro mette a nudo i propri artifici e, nel parlare di se stesso, racconta le tante difficoltà di una forma di intrattenimento che, nel suo farsi, si espone a mille variabili, tutte potenzialmente rovinose.
Lo spettacolo che ne scaturisce è un piccolo dono di simpatia e grazia, poiché tutto funziona a meraviglia e – regalo ulteriore – il divertissement è davvero per tutti: miracolo nel miracolo, in Che disastro di commedia non c’è l’ombra di una parolaccia, una volgarità, un banale o abusato doppio senso. Non è poco, vero?
Marco Moraschinelli
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