La buca (Italia, 2014) di Daniele Ciprì con Sergio Castellitto, Rocco Papaleo, Valeria Bruni Tedeschi, Jacopo Cullin, Ivan Franek, Teco Celio, Sonia Gessner, Lucia Ocone, Giovanni Esposito
Sceneggiatura di Daniele Ciprì, Alessandra Acciai, Massimo Gaudioso, Miriam Rizzo
Commedia, 1h 40′, Lucky Red, in uscita il 25 settembre 2014
Voto: 5½ su 10
Seconda regia in solitaria – la prima fu due anni fa con È stato il figlio – per Daniele Ciprì, uno dei nostri più stimati direttori della fotografia, legato per lungo tempo in un felice sodalizio artistico a Franco Maresco. Con La buca, il regista si allontana solo apparentemente dal tono onirico e grottesco che aveva caratterizzato l’opera precedente, ma se prima gli intenti non erano ben chiari, questa volta la volontà è palese: fare una commedia edificante con morale.
In questo non ci sarebbe nulla di male. Però a Ciprì piace sperimentare, o almeno vorrebbe farcelo credere. Pertanto, insieme ad altre sei mani, mette insieme la storiellina buffa di un avvocato imbroglione (Castellitto) e di un galeotto innocente (Papaleo) che starebbe su mezza paginetta, la arricchisce di situazioni strambe e macchiette di contorno, la fa orchestrare al grande Pino Donaggio che omaggia Gershwin e si porta Stefano Bollani al pianoforte, e la fotografa in prima persona con tonalità desaturate per far parlare del mitico “bianco e nero a colori” del cinema americano di fine anni Sessanta (l’esempio più celebre di questo vezzo estetico è Riflessi in un occhio d’oro di John Huston).
A che scopo tutto ciò? Ovviamente rendere un servigio alla settima musa, giocando con le comiche del muto, con Mr. Smith e Frank Capra, con Rosabella nella palla di neve di Welles, fino a Mel Brooks e Frankenstein Junior. L’effetto, però, è gratuito, stucchevole e assai pretenzioso, perché non c’è una sceneggiatura in grado di sostenere l’ambizione cinefila, né è presente un senso dell’ironia capace di giustificare la balordaggine dei personaggi. Il vero problema de La buca risiede nella regia di Ciprì, che, ben poco umilmente, ha eretto un monumento a sé stesso e alle sue per altro ampiamente riconosciute capacità di messa in immagini di realtà sospese nell’indefinitezza. Purtroppo rimane indefinito anche il film, una fragile commedia umana dal ritmo incerto e dalle conclusioni ampiamente prevedibili. L’omaggio cinefilo chiede anche l’aiuto cinofilo, ma persino il simpatico cagnolino fa da tappezzeria.
Giuseppe D’Errico
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