“A casa tutti bene”, un film di Gabriele Muccino, la recensione

A casa tutti bene (Italia, 2018) di Gabriele Muccino con Stefano Accorsi, Pierfrancesco Favino, Stefania Sandrelli, Carolina Crescentini, Gian Marco Tognazzi, Valeria Solarino, Giulia Michelini, Sandra Milo, Ivano Marescotti, Claudia Gerini, Massimo Ghini, Giampaolo Morelli, Sabrina Impacciatore, Elena Cucci, Elisa Visari, Tea Falco, Gianfelice Imparato, Renato Raimondi

Sceneggiatura di Gabriele Muccino, Paolo Costella, Sabrina Impacciatore

Drammatico, 1h 45′, 01 Distribution, in uscita il 14 febbraio 2018

Voto: 4 su 10

C’era un certo interesse verso l’ultimo film di Gabriele Muccino, che in qualche modo doveva segnare il ritorno del regista romano ai registri drammaturgici a lui più congeniali, quelli della disfunzionalità familiare, dopo una parentesi statunitense francamente deludente e la puntata giovanilistica non proprio memorabile de L’estate addosso (2016). Per l’occasione, Muccino ha richiamato all’ordine alcuni dei suoi attori storici (Accorsi, Favino, Impacciatore, Sandrelli) in un cast sterminato di volti noti del cinema italiano, tuffato in un contesto isolano solo apparentemente idilliaco, ma che ben presto rivelerà tempeste non solo metereologiche. 

locandinaA casa tutti bene si presenta così, con un titolo provocatorio e una parata di sorridenti divi nostrani in locandina, pronti a cantarsele in ogni senso, prima che il brutto tempo scampi e tutti possano ritornare alle loro vite di sempre. L’occasione della famiglia per ritrovarsi è, infatti, il festeggiamento delle nozze d’oro dei genitori (Sandrelli e Marescotti), famosi ristoratori da tempo rifugiatisi in un paradisiaco atollo della costiera campana che li vide prima innamorarsi e poi maturare insieme ai figli nel corso delle estati che lì andavano a trascorrere. Prole, cugini, ex mogli, zii e nipoti giungono nella splendida magione degli anziani sposi, ma ai convenevoli di rito segue una mareggiata non prevista che costringerà l’intero parentame a prolungare il soggiorno. Naturalmente esploderanno tensioni fratricide, verranno a galla immaturità assortite (leggi flirt impossibili), frustrazioni tiranne, tradimenti e gelosie della più bassa lega e insoddisfazioni fatali per l’armonia della reunion.

Nella battuta di Ivano Marescotti “A me la famiglia sta sul cazzo! Io sono cresciuto orfano!” c’è tutto il pessimismo di Muccino nei confronti dell’istituzione familiare come antro delle più oscure dinamiche (in)umane. Dispiace, però, constatare quanto la poetica dell’autore de L’ultimo bacio (2001) e Ricordati di me (2003) sia rimasta ferma a modelli e situazioni ampiamente banalizzabili, che se quindici anni fa potevano far parlare di un nuovo approccio al genere in termini di “realismo casalingo”, oggi testimoniano un’involuzione del linguaggio nei territori del grottesco, tanto è forte il senso di inverosimiglianza, di enfasi e isteria calcolata del racconto.

Il livello qualitativo dei dialoghi ci riporta a un inquietante passatismo, così come le prove di un cast dalle fortune alterne (bene Tognazzi e Michelini pur nei loro eccessi, piuttosto blando e monocorde il resto, con in coda una soave Sandrelli), incapace di infondere verità a personaggi senza spessore e a un copione che procede a suon di stereotipi di grana grossa. E mentre la regia rincorre l’ennesima scena madre, mentre venti attori si stringono a stento in un’inquadratura mortale, mentre ci perdiamo a seguire il destino di un vassoio di salsicce arrosto visto dall’alto, così spasima tutto il film, afflitto da grandi ambizioni, assillato da urla e strepiti e teso verso il raggiungimento di un porto fatto di lacrime e sospiri preadolescenziali. Anche se i protagonisti hanno oltrepassato da un pezzo la soglia dei quaranta.

Giuseppe D’Errico

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