Compagnia CK Teatro
Tutti i padri vogliono far morire i loro figli
drammaturgia Fabio Morgan e Leonardo Ferrari Carissimi
regia Leonardo Ferrari Carissimi
con Irma Ciaramella, Anna Favella, Chiara Mancuso, Luca Mannocci, Mauro Santopietro
scene e costumi Alessandra Muschella
disegno luci Antonio Scappatura
tecnico luci Martin Emanuel Palma
aiuto regia Carlo Maria Fabrizi
In scena al Teatro dell’Orologio di Roma
Voto: 5 su 10
Se in Affabulazione, la tragedia composta nel 1966 da Pier Paolo Pasolini – a cui questo spettacolo della Compagnia CK Teatro liberamente si ispira – il nucleo centrale della drammaturgia pasoliniana era l’oscura attrazione sessuale che un padre, tormentato da nefasti sogni, provava nei confronti del figlio adolescente, la rilettura scenica di Fabio Morgan e Leonardo Ferrari Carissimi si concentra, invece, sul tema della assenza della genitorialità, mettendo al centro della narrazione la figura di un padre-bambino che, dopo 20 anni di assenza, ritorna in famiglia con l’apparente scopo di sanare il rapporto con il proprio primogenito.
Se lo stravolgimento di un autore di culto è, a parere di chi scrive, sempre un interessante esercizio di stile, meritevole di attenzione e di una visione senza pregiudizi – ciascuna rappresentazione deve essere valutata per ciò che racconta, indipendentemente dalla presunta “sacralità” del testo d’origine – questo lavoro rappresentato sul palco del Teatro dell’Orologio è tuttavia un esperimento drammaturgicamente confuso, recitato, per di più, in maniera sguaiatamente parossistica per tutta la durata della messa in scena.
Il rancore per un abbandono impossibile da perdonare è raccontato attraverso urla, spintoni, grandi scene di lacrime, violenza e disperazione, apparentemente unica modalità comunicativa attraverso la quale Mauro Santopietro, il padre divorato dalla follia, tormenta – ma per quale ragione? – la sua disperata progenie (un Luca Mannocci di cui si intuisce il talento attoriale, nonostante un ruolo dolentemente ingrato). Al limite dell’imbarazzo questo genitore degenere si cimenta in a malriuscite seduzioni (nei confronti dell’ex moglie, legata, si suppone, da un rapporto omosessuale con l’amica-cartomante), in atti di masturbazione, per arrivare, sul finale, a rappresentare la scena di un amplesso – molto poco metaforica – con la fidanzata del figlio.
Uno spettacolo difficile non tanto da elaborare ma da comprendere che, nonostante la cura tecnica (lode alla la scenografia ed al disegno luci) con cui è stato confezionato e malgrado un finale cinicamente efficace, rimane, più che un’intelligente rivisitazione del dramma di Pasolini, un esperimento teatrale da dimenticare.
Marco Moraschinelli
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