“Rock the Kasbah”, Murray a disagio nella farsa bellico/canora di Levinson

Rock the Kasbah (id, Usa, 2015) di Barry Levinson con Bill Murray, Kate Hudson, Bruce Willis, Zooey Deschanel, Leem Lubany, Danny McBride, Scott Caan, Taylor Kinney

Sceneggiatura di Mitch Glazer

Commedia, 1h 58′, Eagle Pictures, in uscita il 5 novembre 2015

Voto: 5 su 10

Non c’è genere più arduo e delicato della commedia satirica d’ambientazione bellica. Ne sono usciti vincenti solo alcuni grandi registi (Lubitsch, Chaplin, Wilder, Kubrick, Altman) e lo stesso Barry Levinson, con Good Morning, Vietnam, non era andato troppo lontano dallo sfiorare il gioiello. Qualche anno dopo, con Sesso e potere, la ferocia vetriolica della guerra vista con gli occhi della politica giornalistica aveva fatto sperare nell’arguzia di un autore che, al contrario, da troppi anni ha perso lo smalto di un tempo. Il regista premio Oscar di Rain Man porta in sala questo Rock the Kasbah, farsa grottesca che si riallaccia al precedente Disastro a Hollywood, per il racconto di un certo ambiente artistico in rovina (lì il protagonista era un regista in panne, qui è un manager di musica rock in fallimento), ma con il focus narrativo principale individuato nello scontro culturale tra Oriente e Occidente, tutto in chiave ironica e con influenze libertarie e tolleranti per il tramite di un talent show canoro: commistione fatale.

Rock-The-Kasbah_Locandina-300x420Protagonista è il mitico Bill Murray, cui neppure i fans più sfegatati potranno perdonare questo noioso scivolone in una commedia sgangheratissima e poco divertente. Al suo fianco un gruppo di rodati coprotagonisti come la bellissima Kate Hudson, nei panni di una prostituta americana in territorio afghano, Bruce Willis nel ruolo di un militare dalle smanie esistenzialiste, e la buffa Zooey Deschanel che interpreta la cantante rock che pianta Murray a Kabul, dove si erano recati per un concerto.

Rock the Kasbah, dal titolo del celebre brano dei Clash, è un fallimento su tutti i fronti perché soffre enormemente il contrasto fra una trama sconclusionata ma con pretese di realismo e l’ironia strampalata di un attore a disagio. Ne viene fuori un film che si trascina stancamente per quasi due ore, per arrivare al solito finale di buoni sentimenti trionfalistici. C’erano ottime potenzialità per un film fuori dagli schemi ma, in definitiva, Levinson ha sprecato la sua occasione.

Giuseppe D’Errico

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