“Parasite”, un film di Bong Joon-ho, la recensione

Parasite (Gisaengchung, Corea del Sud, 2019) di Bong Joon-ho con Song Kang-ho, Sun-kyun Lee, Cho Yeo-jeong, Choi Woo-Sik, Hyae Jin Chang, Jung Hyeon-jun, Park Seo-joon, Jung Ziso, Chang Hyae-jin, Park Myeong-hoon, Lee Jung-eun, Park So-dam

Sceneggiatura di Bong Joon-ho, Han Ji-won

Grottesco, 2h 12’, Academy Two, in uscita il 7 novembre 2019

Voto: 8½ su 10

Tutti ne parlano (o, ne hanno parlato), Parasite di Bong Joon-ho è stato il “talk of the town” di quest’ultima accidentata stagione cinematografica. Partita la sua corsa con l’acclamazione al Festival di Cannes, dove ha vinto la Palma d’Oro, e terminata tra l’entusiasmo generale con la consacrazione e il premio Oscar al miglior film dell’anno direttamente dalle mani di Jane Fonda (più altre tre statuette di peso: miglior sceneggiatura originale, miglior regia e miglior film straniero), quello del film sud-coreano è stato un irresistibile percorso di riconoscimenti più che meritati.

Magistrale ensemble di generi sotto acido, Parasite è un feroce ritratto della lotta di classe nell’epoca dell’iper-connessione. Una famiglia povera e arrabbiata che vive in uno scantinato putrescente, un’altra ricca e gentile con splendida villa e giardino a vista: l’occasione per fare conoscenza non sarà peregrina, ma gli effetti del contatto avranno conseguenze a dir poco imprevedibili, specie se il regista non disdegna la vena grottesca della critica sociale.

Attraversato da un senso dell’ironia di sottile perfidia e dominato da un gusto estetico assolutamente ammaliante e mirabolante, Parasite porta al trionfo il pensiero di Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta, concedendo però ai suoi protagonisti una spietata catarsi finale che, al contrario, il buon cuore partenopeo abbracciava in un lieto fine di comunanza. Nulla è come sembra tra le pareti di questa scalata della vita, è una questione di odori, di bramosie, di ipocrisie. Bong Joon-ho crea una geografia delle appartenenze umane e sembra suggerire la più crudele delle consolazioni.

Giuseppe D’Errico

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