“Le belve”, gioie e dolori del pulp movie adrenalinico in stile Stone

Le belve (Savages, 2012, Usa) di Oliver Stone con Taylor Kitsch, Aaron Johnson, Blake Lively, Salma Hayek, Benicio Del Toro, John Travolta, Demian Bichir, Emile Hirsch.

Sceneggiatura di Don Winslow, Shane Salerno e Oliver Stone, dal romanzo omonimo di Dan Winslow.

Thriller, 2h 11’, Universal Italia. In uscita il 18 ottobre 2012.

Voto: 6 su 10

Chi lascia la strada vecchia per quella nuova sa quello che lascia e non sa quello che trova. Dopo una serie di esiti tutt’altro che lusinghieri in termini artistici e commerciali (come dimenticare il fallimentare kolossal storico/edipico Alexander o, peggio, la retorica a stelle e strisce di World Trade Center e Wall Street 2?), il bad guy Oliver Stone torna all’ovile del secondo amore (il primo resta il cinema di denuncia), il pulp movie senza regole, pudore e ritegno con cui scandalizzò l’opinione pubblica ormai anni orsono.

In una paradisiaca località della California meridionale, la bella O (per Ophelia, una languida Blake Lively) ama contemporaneamente il focoso Chon (Taylor Kitsch) e il sensibile Ben (Aaron Johnson); tutti insieme sono a capo di un traffico spropositato di marijuana che li porterà a scontrarsi con la potentissima Reina Elena (Salma Hayek), con spietato sicario al seguito (Benicio Del Toro), padrona del commercio di droga dell’intero Messico. Quando O viene rapita, i suoi uomini faranno di tutto pur di ricomporre l’appassionato triangolo.

La voce off di Ophelia scandisce l’intera narrazione come in un noir d’annata, mentre il film appaga ogni più basso istinto dello spettatore medio affamato di  e violenza. Se le premesse appaiono fin troppo ambiziose, anelando a una (im)possibile fusione fra Truffaut e il Soderbergh di Traffic, il resto si rifugia in una sorta di epigono di Natural Born Killers, senza però averne l’irriverenza e la forza dirompente e iconoclasta.

La sceneggiatura di Shane Salerno e Dan Winslow (autore anche del romanzo omonimo da cui il film è tratto) mantiene in equilibrio precario una mole eterogenea di materiale da botteghino e le fila di una rincorsa mafiosa che non risparmia colpi bassi; Stone, da par suo, inietta alla pellicola uno stile furioso e allucinato (coadiuvato da una fotografia in ocra dalle suggestioni postatomiche), muovendo i suoi interpreti – vecchi e nuovi – con consumata perizia nel caleidoscopio di sesso, sole e sangue che culmina in un finto finale in onore dell’amour fou più sfacciato.

Ciò che manca è lo spessore della vicenda e l’onestà intellettuale dell’autore cinematografico, capace di scavare ben più a fondo nel marcio del paese delle illusioni.
Alla fine si resta sazi ma con un poco vago senso di pesantezza: in fondo è “solo” enterteinment.

Giuseppe D’Errico

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