
LA LOCANDIERA
di Carlo Goldoni
con Nancy Brilli, Fabio Bussotti, Giuseppe Marini, Maximilian Nisi, Fabio Fusco, Andrea Paolotti
Scene di Alessandro Chiti
Costumi di Nicoletta Ercole
Adattamento e regia di Giuseppe Marini
Una produzione Società per Attori
In scena al Teatro Quirino di Roma fino al 1 dicembre
Voto: 7 su 10
Incrollabile caposaldo della letteratura teatrale italiana e capolavoro goldoniano che meglio incarna la nuova lezione sui personaggi, liberi dalla rigidità della maschera imposta dalla precedente commedia dell’arte, La locandiera ha vissuto, sin dall’anno della sua composizione, nel 1752, un’infinità di proposte e rivisitazioni. L’ultima è quella ad opera di Giuseppe Marini, che firma adattamento e regia del classico, improntandolo su uno spirito indipendentista e scopertamente moderno. Scene e costumi, infatti, sono un connubio di tradizione d’epoca e stravaganze di tendenza, entro cui il testo e le sue peccaminose fila sentimentali dovrebbero muoversi con naturale andamento. L’esperimento è, in questo senso, riuscito: l’evidente contemporaneità del personaggio di Mirandolina, una donna netta e tagliente che, al pari dell’uomo, riesce a ingannare e a innamorare i suoi numerosi corteggiatori fino a correre rischi insospettabili, si riflette in un allestimento dalle tonalità gelide, come i calcoli talora inumani in cui incorrono i protagonisti sul palco. Pareti bianche, sfondi neri, specchi e stipiti, l’arredo sembra quasi il casellario delle rigide emozioni della furba locandiera e del cavaliere che, per amore, disconosce la sua filosofia misogina. Tanto freddo, però, diventa un limite per l’ironia di Goldoni, sempre pronta ad assolvere bonariamente i suoi caratteri senza mitigare una morale evidente. Mirandolina diventa, così, una vittima e insieme una carnefice di sé stessa, maliarda senza causa, cui una misurata Nancy Brilli offre ogni arma di seduzione (parlano chiaro, in proposito, gli stivali con tacco e il corpetto di cinghie in cui è strizzata). Una rilettura sensata e di raffinata recitazione, ma che avrebbe potuto scavare più a fondo nella cattiveria insita nella commedia goldoniana per risultare davvero radicale.
Giuseppe D’Errico
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