“Via dalla pazza folla”, trasposizione lieve e accademica per Vinterberg

Via dalla pazza folla (Far from the Madding Crowd, Usa/GB, 2015) di Thomas Vinterberg con Carey Mulligan, Matthias Schoenaerts, Michael Sheen, Tom Sturridge, Juno Temple, Jessica Barden, Bradley Hall

Sceneggiatura di David Nicholls dal romanzo omonimo di Thomas Hardy

Sentimentale, 1h 59′, 20th Century Fox Italia, in uscita il 17 settembre 2015

Voto: 6½ su 10

Quarta trasposizione (ma la prima è del 1915, mentre la terza è una rivisitazione in chiave fumettistica e moderna di Stephen Frears, il recente Tamara Drewe) del capolavoro letterario di Thomas Hardy del 1874, Via dalla pazza folla è anche il punto di non ritorno di un regista, il danese Thomas Vinterberg, nato sotto il segno della corrente Dogma e approdato ora al più classico degli stili accademici: bel paradosso per chi, con un film come Festen, caldeggiava al rovesciamento delle regole formali del cinema.

1441812520_50903Detto ciò, la straordinaria storia dell’indomita Bathsheba Everdine (Mulligan), ereditiera di una sterminata fattoria del Wessex e contesa a più riprese dal pastore Oak (Schoenaerts), dal maturo possidente Boldwood (Sheen) e dal sergente Troy (Sturridge), è restituita con elementare chiarezza, tanto da sfiorare una pericolosa patina televisiva. Il film è elegante, professionale, corretto, ma non lascia traccia. Poco possono i tumulti orchestrali di Craig Armstrong e la bellissima fotografia di Charlotte Bruus Christensen se i cardini dell’operazione sono allentati: Vinterberg alla regia svolge il compitino internazionale all’insegna della piacevolezza più lieve, la sceneggiatura di David Nicholls (One Day, Grandi Speranze) è oltremodo scolastica nella sua sintesi narrativa (il personaggio di Fanny Robin, interpretato da Juno Temple, ne esce colpevolmente sacrificato), il cast è inadeguato, soprattutto se confrontato a quello della versione del 1967 di John Schlesinger. Ne esce bene Michael Sheen, nel ruolo che fu di Peter Finch, ma per tutti gli altri è un’ecatombe di espressività, e la Mulligan non ha un briciolo del carisma di Julie Christie.

Per fortuna che la fitta trama non ammette distrazioni e che la messa in scena ha la coscienza pulita. Il film si segue senza fatica, i personaggi avvincono ancora, il tanto atteso finale è una manna per i cultori del genere. Ma difficilmente il risultato riuscirà ad affrancarsi dall’anonimato.

Giuseppe D’Errico

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