Pelican Blood (Pelikanblut, Germania/Bulgaria, 2019) di Katrin Gebbe con Nina Hoss, Katerina Lipovska, Murathan Muslu, Adelia-Constance Ocleppo
Sceneggiatura di Katrin Gebbe
Drammatico, 2h 01’
Voto: 4 su 10
Se si potesse considerare Pelican Blood unicamente per il ritratto di madre irriducibile che propone, allora non avremmo problemi a consegnare l’opera seconda della tedesca Katrin Gebbe, anche sceneggiatrice, agli annali del genere. Purtroppo, però, il film è anche altro, e non basta la strenue interpretazione della sempre eccellente Nina Hoss a farci desistere dal considerarlo altamente discutibile per come sceglie di declinare una storia, a dire il vero, non così originale.
Ci troviamo nell’entroterra germanico, dove la madre single Wiebke (Hoss) è la tenutaria di un maneggio dove la polizia addestra i cavalli d’ordinanza. Dopo anni di attesa, la donna finalmente ottiene in adozione una bimba di cinque anni (l’impressionante Katerina Lipovska), dai traumatici passati bulgari. L’idillio è breve: presto la piccola inizia a comportarsi male, ma così tanto male da minacciare l’incolumità di Wiebke e della figlia Nikolina. Nulla, però, può ammansire la tenacia di questa madre che, come l’immagine cristiana del pellicano che nutre col proprio sangue i piccoli morti per riportarli in vita, è disposta a qualunque sacrificio pur di “guarire” la sua bambina emotivamente morta.
Il calvario della protagonista passa per un campionario decisamente poco credibile di colpi bassi che la temibile piccoletta assesta alla serenità casalinga: come la più navigata delle carogne, dapprima scherza col cibo e pasticcia di cacca i muri del bagno, poi passa a seminare il panico all’asilo, a dare fuoco alla casa e persino a violentare un amichetto. La madre, in tutto ciò, non si arrende all’idea di rispedire la piccola al mittente, intraprendendo una cura ormonale per allattarla al seno, nell’intento di donarle quella prima infanzia che non ha mai avuto. E, quando niente sembra servire a calmare la bambina, si arrende alle superstizioni, agli esorcismi e alla magia nera.
Al netto di un crescendo drammatico sempre più disturbante e della capacità indubbia della regista di umanizzare una situazione per certi versi incontrollabile, Pelican Blood scade nell’incertezza di un registro preciso da seguire, che da thriller realistico – con tanto di diagnosi medica per il disturbo della piccola – muta in horror pseudo-demoniaco, con imbarazzante e, francamente, indecente messaggio (a)morale finale. Il desiderio di ripagare gli sforzi della protagonista si traduce in una svolta imperdonabile, che condanna il film e, con sé, tutte le buone intenzioni con le quali era partito.
Giuseppe D’Errico
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