Venezia76 – Concorso: “The Painted Bird”, un film di Václav Marhoul, la recensione

The Painted Bird (Nabarvené ptáče, Repubblica Ceca, Ucraina, Slovacchia, 2019) di Václav Marhoul con Petr Kotlár, Udo Kier, Lech Dyblik, Jitka Čvančarová, Stellan Skarsgård, Harvey Keitel, Julian Sands, Barry Pepper, Aleksey Kravchenko

Sceneggiatura di Václav Marhoul, tratto dal romanzo del 1965 di Jerzy Kosiński L’uccello dipinto.

Drammatico, 2h 49’

Voto: 4 su 10

Un film come The Painted Bird ci riporta all’annosa discussione su quando e quanto sia lecito mostrare attraverso il mezzo cinematografico. Esiste un pudore della visione, oppure l’argomento trattato giustifica sempre e comunque le modalità di rappresentazione? Tale questione si fa delicatissima quando si ha a che fare con una storia sull’Olocausto: il film, infatti, è tratto dal romanzo omonimo, e forse autobiografico, in cui Jerzy Kosiński – autore del celebre Oltre il giardino,  morto suicida nel 1991 a 58 anni – tracciava lo sconvolgente percorso di crescita di un bambino ebreo nell’Europa dell’Est, sul finire della Seconda Guerra Mondiale. Il libro, già all’epoca della sua pubblicazione, non mancò di provocare enormi polemiche a causa della sua crudezza, e il regista ceco Václav Marhoul si adegua, confezionando un lungo (quasi tre ore) e brutale racconto di formazione al male.

Fin dalle prime sequenze capiamo che non ci sarà nulla di buono ad attendere il piccolo protagonista: mentre corre in un bosco, due coetanei lo atterrano, dando fuoco alla donnola che portava tra le braccia; ma è solo il primo di una serie di atroci sadismi che il poveretto dovrà patire. Affidato dai genitori alle cure di un’anziana signora, nel tentativo di metterlo in salvo dalle deportazioni, alla morte della donna il ragazzino proseguirà il suo cammino di sopravvivenza trovando ogni volta un nuovo ricovero tra fattorie e villaggi: confrontandosi con varia (in)umanità, proverà sulla propria pelle ogni sorta di bruttura, superstizione e depravazione, ivi compresa la cieca violenza dei soldati russi e tedeschi. Alla fine di questo bestiale martirio non guarderà più al mondo con gli stessi occhi.

Per accentuare ancora di più il realismo storico della vicenda, The Painted Bird è fotografato in un bellissimo bianco e nero scevro da ogni preziosismo, ma è possibile che i pregi del film terminino qui. Inseguendo la fedeltà al testo letterario, Marhoul ignora di educare al concetto di “memoria” e non risparmia quasi nulla allo sguardo inerme della telecamera, rivelando scarso ingegno e un disprezzo totale per ogni forma di allusività. Sullo schermo scorrono senza soluzione di continuità una serie di quadretti quantomeno indigesti, tra i quali spiccano per repellenza l’attacco di uno stormo di corvi alla testa del bambino sepolto e l’amplesso di una ninfomane con un caprone che verrà decapitato. L’effettismo senza freni cade poi in contraddizione quando affida a un riferimento implicito la violenza sessuale del pedofilo nei confronti del bambino, occultando alla vista l’atto immondo. Un’altra forma di racconto allora è possibile, ma celando giustamente l’infilmabile il regista cade nell’ipocrisia di una narrazione che, per il resto, è una sagra di efferatezze inenarrabili, alla quale si finisce per diventare assuefatti.

La spettacolarizzazione dell’evento tragico è pressoché totale e, in una simile fiera delle atrocità, pure la scontata metafora della luce (il bene) scrutabile solo nelle tenebre (il male) ha l’amaro sapore dell’alibi, senza contare quella eclatante per didascalismo dell’uccellino con le ali dipinte, escluso dallo stormo che lo uccide non riconoscendolo, a restituire il pregiudizio verso chi è diverso. Nel tentativo di nobilitare il progetto, la cui genesi produttiva è durata oltre dieci anni, il regista ha convocato alcuni attori illustri (Udo Kier, Stellan Skarsgård, Harvey Keitel, Julian Sands, Barry Pepper), costretti in mortificanti prestazioni recitative in un “esperanto slavo” elaborato ad hoc per evitare un’ambientazione precisa e, così, ogni polemica tra nazioni. Come dire, insincero sin negli intenti.

Giuseppe D’Errico

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