La 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si è conclusa laureando il regista messicano Guillermo del Toro con il Leone d’Oro per il suo splendido The Shape of Water, a sugellare un’edizione per molti versi irripetibile. Da anni non si assisteva a un cartellone così ricco e interessante, con tutto il meglio che la prossima stagione cinematografica avrà da offrire. Con grande soddisfazione e un senso di pienezza che stenterà a ripetersi, congediamo Venezia 74 con una goliardica carrellata del meglio e del peggio che abbiamo visto e vissuto in questi dieci frenetici giorni di cinema.
Il meglio…
Jane Fonda e Robert Redford, Leoni d’Oro alla Carriera, un vero spettacolo di carisma e di classe intramontabile, di gran lunga i più “giovani” visti al Lido.
Xavier Legrand, regista rivelazione della Mostra, ha presentato da esordiente il notevolissimo Jusqu’à la garde (L’affido) nel concorso principale, vincendo il Leone del futuro per la migliore opera prima e, inaspettatamente, anche il Leone d’argento per la miglior regia. Il “giovane favoloso” ha ritirato i premi senza trattenere le lacrime: emozionante.
mother! di Darren Aronofsky e Mektoub, My Love: Canto Uno di Abdellatif Kechiche, i due film forse più attesi del festival e gli unici davvero in grado di creare contrasti e tensioni in sala stampa, tra fischi disperati e applausi scroscianti. Che lo si voglia o meno, hanno dato un po’ di pepe alla competizione.
Claudia Gerini, in Ammore e Malavita dei Manetti Bros. è la divertita e irresistibile moglie di un boss malavitoso napoletano (Carlo Buccirosso), disposta a tutto pur di fuggire col malloppo e cambiare vita, compreso farsi passare per una certa Grazia Chelli (!). Erano anni che l’attrice romana non aveva a disposizione un personaggio che valorizzasse così bene la sua vena brillante.
The Shape of Water di Guillermo del Toro, il vincitore della Mostra, una fiaba romantica figlia di un immaginario mostruoso in cui la diversità fa la forza. Visivamente magistrale, recitato da quattro attori in stato di grazia e scritto intingendo la penna nella poesia più commovente.
Javier Bardem e Penelope Cruz, sono loro la coppia più bella e discreta della Mostra. Nessun divismo, solo tanto entusiasmo e una meravigliosa normalità. Dispiace solo che l’occasione sia stata per un pessimo film, il biografico Loving Pablo di Fernando León de Aranoa, presentato fuori concorso
Julianne Moore, l’eleganza in persona, oltre a essere la strepitosa protagonista femminile del thriller satirico di George Clooney Suburbicon, è stata anche premiata come icona di stile con il Franca Sozzani Award dalle mani di Colin Firth. Inappuntabile.
L’appartamento di Sienna Miller in The Private Life of a Modern Woman di James Tobak, un concentrato di minimalismo chic newyorkese da lasciare a bocca aperta gli appassionati di design casalingo.
La Sala Darsena, semplicemente lo spazio migliore per una proiezione. Anche il peggior film ne guadagnerebbe su quello schermo.
…e il peggio!
Caniba di di Verena Paravel, Lucien Castaing-Taylor, presentato in concorso nella sezione Orizzonti, doveva essere il film scandalo della coppia di registi dell’acclamato Leviathan sul caso del giapponese Issei Sagawa, il quale, nel 1981, a Parigi, uccise la sua compagna di università e ne mangiò parte del cadavere. Nei fatti, però, il film si risolve in una serie di sfibranti close up, ora sfocati, ora sempre più dettagliati, sul volto del protagonista e del di lui fratello, intenti in una farneticante elucubrazione sulla penetrazione e sui desideri nascosti della e nella carne. Il livello di noia stenderebbe una gendarmeria a cavallo.
La Sala Volpi e la Sala Casinò, adibite ad ospitare attese pellicole in ore di punta (14:30 e 19:30), ma piccole e perennemente sold out nonostante snervanti attese in fila. La Volpi, inoltre, soffre un nauseabondo cattivo odore da sanitario in disuso. Urge un ripensamento generale.
The Private Life of a Modern Woman di James Tobak e Woodshock di Kate e Laura Mulleavy, due titoli (il primo Fuori Concorso, il secondo nella sezione Cinema in giardino) che giustificano la loro presenza alla Mostra solo e unicamente per assicurare l’arrivo al Lido delle loro star principali, l’ottima Sienna Miller e la “strafumata” Kirsten Dunst: delle due, solo la seconda ha avuto il coraggio di prendere per davvero l’aereo e difendere l’opera interpretata. Per inciso: due pessimi film.
Michelle Pfeiffer, la bionda icona del cinema americano degli anni Ottanta e Novanta mancava dall’Italia dal 2000, anno in cui proprio a Venezia portò Le verità nascoste. Ovvio che la sua fosse una presenza attesissima, specie se per il discusso film di Darren Aronofsky mother!, dove interpreta alla grande un ruolo assai disturbante. In conferenza stampa ha fatto decisamente la diva, ha risposto smorfiosamente alle domande dei giornalisti, ha assunto un atteggiamento altezzoso, quasi ci avesse fatto un piacere a stare lì a parlare di cose scontate e di nessun interesse, ed è fuggita senza firmare autografi, quasi schifata. Michelle ma belle, che delusione!
Il Red Carpet, emblema del provincialismo da festival. Ha sfilato chiunque, dal peggior realityzzato alla ministra Boschi col fratello, con tonnellate di gnocca a sporgere le labbra siliconate verso telefonini agitati per aria. Subito dopo passano Claudia Cardinale e Susan Sarandon: evidentemente c’è qualcosa che non torna.
La cerimonia di chiusura, sagra di papere per tradizione, e va bene, ma ritmo e struttura sono avvilenti, per non parlare degli inconvenienti tecnici, delle traduzioni in simultanea che non sono in simultanea, dello spaesamento di ospiti e conduzione sul palco, dell’isterismo dei fotografi sotto al palco, dei bofonchiamenti rassegnati del pubblico in sala che chatta su whatsapp.
Una famiglia di Sebastiano Riso, purtroppo il peggior film del concorso principale che, tra stereotipi e scene madri, sbaglia completamente il discorso su genitorialità surrogata, mafia della procreazione e procedure di adozione. Ma è in buona compagnia con Il contagio di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, visto faticosamente alle Giornate degli Autori e fatalmente tratto dal romanzo omonimo di Walter Siti, ridotto a una specie di Gomorra capitolina con inenarrabili momenti di enfasi
Giuseppe D’Errico
Grande Prof!!!!
Che voglia di vedere tutti questi film! Sicuramente vedrò the shape of water.
saluti