Suburbicon (id, Usa, 2017) di George Clooney con Matt Damon, Julianne Moore, Noah Jupe, Oscar Isaac, Gary Basaraba, Megan Ferguson, Michael D. Cohen
Sceneggiatura di Joel & Ethan Coen, George Clooney, Grant Heslov
Thriller, 1h 44′, 01 Distribution
Voto: 8½ su 10
Benvenuti a Suburbicon, un’amena, pacifica e idilliaca comunità periferica in cui tutto va per il verso giusto: le villette sono economiche, c’è un centro commerciale e il parroco si prende cura di tutti i suoi fedeli. È l’America del 1959, ma George Clooney vuol parlare dei nostri tempi, prende spunto da una storia accaduta a Levittown, un vero centro urbano solo per persone di razza caucasica, creato in Pennsylvania dopo la Seconda Guerra Mondiale, e la adatta a una vecchia sceneggiatura mai prodotta che i fratelli Coen scrissero dopo il successo di Blood Simple (1984). Una collaborazione felice, per una commedia a tinte foschissime che scava nel marcio del sogno americano e rilancia un confronto inevitabile con la direzione che gli Stati Uniti stanno prendendo sotto l’attuale presidenza Trump.
Sembra il paradiso in terra, ma poco ci vuole per aprire i barattoli e liberare i covi di vipere: gli abitanti di Suburbicon, tollernati e sorridenti solo con i loro simili, vanno in crisi quando i Meyers, una famiglia di afroamericani, si trasferiscono nel loro mondo da copertina di Casa e giardino. I loro vicini sono i Lodge: grigio e imbolsito impiegato lui (Damon), bionda e paralizzata su una sedia a rotelle lei (Moore); con loro vivono il figlio Nicky (Jupe) e la cognata (sempre Moore). Ma che succede se, una sera, due balordi irrompono nell’anonima routine della famiglia Lodge e uccidono la mamma indifesa?In fondo, prima dell’arrivo dei Meyers non era mai successo nulla di simile in quel dorato sobborgo…
Dopo l’insuccesso di Monuments Men, Clooney ritorna a riflettere sulle contraddizioni dell’America, come già fatto precedentemente con Good Night and Good Luck e Le idi di marzo. Forte dell’impronta dei Coen, di un cast formidabile e di una ricostruzione d’epoca da applausi, Suburbicon svela la sua anima nera trasportando il perbenismo degli anni Cinquanta in un complotto fatto di avidità e razzismo, concedendosi più di un paralleo ai recenti scontri di Charlottesville e avanzando inquietanti moniti verso la supremazia bianca su qualunque tipo di differenza culturale, sociale ed economica. Per fortuna, il pericolo del film a tesi è scongiurato brillantemente da un meccanismo narrativo magistrale, che gioca con i classici del genere (Hitchcock trionfa sia nelle inquadrature che nelle musiche di Alexandre Desplat, impegnato in un vorticoso omaggio a Bernard Herrmann), adattandoli alla perfezione al tono paradossale della storia; a giovarne sono, contemporaneamente, sia il divertimento che la suspance. La metafora colpisce nel segno, confermando George Clooney tra gli autori più impegnati di Hollywood, e ci ricorda intelligentemente come la denuncia possa non prendere il sopravvento sullo spettacolo, ma conconvivere meravigliosamente con esso.
Giuseppe D’Errico
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