“Variazioni Enigmatiche”, verità e menzogna nel capolavoro di Schmitt

VARIAZIONI ENIGMATICHE
di Éric-Emmanuel Schmitt

con Saverio Marconi e Gian Paolo Valentini
Traduzione Saverio Marconi e Gabriela Eleonori
Scene e Costumi Carla Accoramboni
Luci Valerio Tiberi
Regia Gabriela Eleonori
una produzione Compagnia della Rancia

Andato in scena al teatro Duse di Bologna

Voto: 7 su 10

Due uomini si confrontano e si scontrano sulle loro visioni della vita, dell’amore, della solitudine dando vita a una narrazione ricca di spunti filosofici e di riflessioni e a un racconto che si snocciola nel suo percorso, svelando retroscena e verità celate per anni. Questo è “Variazioni enigmatiche” la bellissima pièce scritta da Eric-Emmanuel Schmitt, andata in scena al Teatro Duse di Bologna, interpretata da Saverio Marconi e Gian Paolo Valentini.

Abel Znorko è uno scrittore di fama mondiale, premio Nobel per la letteratura. Un uomo austero, tirannico, presuntuoso, insopportabile che decide di allontanarsi dalla società e di vivere una vita da eremita in un’isola sperduta vicino al Polo Nord. In seguito all’uscita de “L’amore inconfessato”, il suo ventunesimo libro che tratta della corrispondenza amorosa tra un uomo e una donna, decide di rilasciare un’intervista a un misterioso giornalista di provincia, Erik Larsen. Ma l’incontro tra i due uomini non è casuale, ognuno aveva uno scopo, un segreto inconfessato e ben presto si scoprirà la volontà, da parte di ognuno di essi, di cercare verità nascoste e il desiderio di rivelare dettagli inespressi che pesano nel cuore.

E se, come dice Abel “il fascino di un mistero è il segreto che contiene, non la verità che nasconde”, di segreti, nel colloquio tra i due, ne verranno fuori parecchi e con essi anche una diversa visione della vita, dei sentimenti, del modo di stare al mondo e di rapportarsi con gli altri esseri umani. La prima grande divergenza è sul concetto di Amore. Per Abel è nella separazione che il sentimento perdura, l’amore vive nella mancanza e non nella presenza. L’amore attraverso i suoi incontri, abbandoni, tristezze, sospiri, gioie, dolori e ritorni ha la seduzione del labirinto. Lo scrittore rifugge dall’abitudine e vede la quotidianità come una muraglia di vetro, una parete invisibile che diventa sempre più spessa con il passare degli anni, una prigione dove ci s’intravede sempre ma non ci si incontra mai e che fa sì che il sentimento si addormenti nell’abitudine.

Erik invece è un’anima romantica che si aspetta molto dagli altri e sarebbe disposto a sacrificarsi per loro. Per lui l’amore è ciò che si vive nella realtà e non lo struggimento della mancanza. Amore è parlarsi, aiutarsi e assumersi il rischio di soddisfare l’altro o di deluderlo. Erik contesta ad Abel di non aver mai avuto il coraggio di essere una coppia con la donna amata, “Il coraggio di impegnarsi, di fidarsi, di essere veri, fragili, il coraggio di non essere un uomo perfetto ma un uomo e basta.”

E poi c’è la verità, altro concetto molto importante che qui viene sviscerato sotto diversi punti di vista. Si parla della verità delle opere di uno scrittore, il cui talento sta nell’inventare particolari che sembrano veri. Quando una pagina riesce sincera non lo si deve certo alla vita ma al talento del suo autore. La letteratura, afferma Abel, “non balbetta l’esistenza, l’inventa, la provoca, la sorpassa.” In fondo sarà vero che la verità rivela più della menzogna?

C’è la verità di Helene, la donna che ha amato i due protagonisti in modo completamente diverso. Con chi è stata sincera? Con entrambi perché non esiste un solo modo di essere. Infinite sono le personalità che si celano dentro ognuno di noi ed Helene aveva due modi di amare due uomini molto diversi tra loro, ed entrambi erano veri, sinceri e mettevano in luce aspetti diversi del suo essere, le permettevano di sondare più terreni della sua personalità.

La regia di Gabriela Eleonori, che ha curato anche la traduzione con Saverio Marconi, ha ricreato un ambiente, grazie anche alla scenografia di Carla Accoramboni, asettico, quasi sospeso, in cui non si percepisce nessuna mutazione spazio-temporale. Una casa, quella di Abel, sospesa in una dimensione remota, nella quale a prevalere è il dialogo due uomini, un intreccio narrativo ricco di colpi di scena che portano i due protagonisti a cambiare continuamente i propri stati emotivi, coinvolgendo anche lo spettatore in una spirale di amore, passione, rabbia, dolore, solitudine, sofferenza dalla quale ci si sente inghiottiti, grazie anche alla bravura degli interpreti e alla sublime scenografia che tiene incollati alla sedia con continui cambi di prospettiva e di registro.

E poi ci sono “Le variazioni enigmatiche” composte da Edwar Elgar che non solo danno il titolo alla pièce di Schmitt ma ne rappresentano l’essenza: un’infinità di variazioni su una melodia misteriosa che nessuno è mai riuscito a riconoscere. Una melodia che si può solo sognare, enigmatica, inafferrabile, proprio come l’amore. Un regalo fatto da Helene a entrambi i suoi uomini con la medesima dedica: “Noi ci diciamo parole d’amore, ma chi siamo noi? A chi dici io t’amo? A chi lo dico io? Non sappiamo chi amiamo. Non lo sapremo mai. Ti dono questa musica perché tu ci rifletta.”

Amelia Di Pietro

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