“Una fragile armonia”, un dramma radicale sull’ambizione e sulla perfezione

Una fragile armonia (A late quartet, Usa, 2012) di Yaron Zilberman, con Philip Seymour Hoffman, Catherine Keener, Mark Ivanir, Christopher Walken, Imogen Poots, Wallace Shawn

Sceneggiatura di Yaron Zilberman e Seth Grossman

Drammatico, 1h 45’, Good Films, in uscita il 12 settembre 2013

Voto: 7½ su 10

Sono pochissimi i film che hanno tentato di indagare le fragilità della natura umana utilizzando le tonalità profonde e fugaci della musica. Si riaffacciano alla memoria I favolosi Baker del bellissimo e sottovalutato esordio di Steve Kloves, con i fratelli Beau e Jeff Bridges al piano a contenere il fulgore della sciantosa Michelle Pfeiffer,  o ancora l’amicizia a suon di brividi jazz di Bertrand Tavernier in Round Midnight.

db88f333b62eaf288547b6826bc16d74Costruito seguendo fedelmente la partitura emotiva del Quartetto in Do diesis min, op. 131 di Ludwig van Beethoven, il bel dramma psicologico del documentarista premio Oscar Yaron Zilberman, alla sua prima opera di finzione, racconta la crisi di un celebre quartetto d’archi newyorckese, che deflagra quando il membro più anziano (Walken) annuncia la volontà di ritirarsi dopo aver scoperto di essere affetto dal morbo di Parkinson. I delicati equilibri interni, consolidati in 25 anni di onorata carriera, vanno in frantumi a causa di gelosie interne e ripicche sentimentali, minando inevitabilmente l’avvenire professionale del gruppo.

Da tempo il cinema americano non offriva un ritratto tanto radicale dell’ambizione e della prevaricazione negli algidi ambienti culturali. Il film di Zilberman ci riesce con tatto, eleganza e straordinaria capacità drammatica, evitando ogni enfasi in luogo di un’analisi preziosa delle impenetrabili vie dell’abnegazione. La ricerca incessante della perfezione, in musica come nella vita, rischia di imprigionare la vera passione, fino a farla esplodere in una fragile armonia di sole prime voci. Ma se l’equilibrio è ritrovato, quel suono diventa l’unico protagonista.

Una scrittura di grande raffinatezza psicologica, non senza qualche scivolone nel programmatico, permette a quattro splendidi interpreti di far vibrare ogni corda della loro intensità, dal roccioso e tormentato Mark Ivanir, alla strepitosa coppia di coniugi in stasi affettiva e lavorativa Hoffman-Keener (di nuovo insieme dopo la memorabile prova in Truman Capote – A sangue freddo), fino al dolente commiato di un silente, maestoso Christopher Walken. Al resto dell’atmosfera ci pensa New York, con i suoi colori invernali, le sue pause, i suoi umori.

Giuseppe D’Errico

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