
Un castello in Italia (Un château en Italie, Francia/Italia, 2013) di Valeria Bruni Tedeschi, con Valeria Bruni Tedeschi, Filippo Timi, Marisa Borini, Louis Garrel, Xavier Beauvois, Céline Salette, André Wilms, Marie Rivière, Gérard Falce, Pippo Delbono, Silvio Orlando, Omar Sharif
Sceneggiatura di Valeria Bruni Tedeschi, Agnès de Sacy, Noémie Lvovsky
Commedia, 1h 43’, Teodora Film, in uscita il 31 ottobre 2013
Voto: 6½ su 10
Terzo film da regista per Valeria Bruni Tedeschi, presentato felicemente in concorso all’ultimo Festival di Cannes. Tra echi di Cechov e Bassani, la brava attrice si è scritta, con l’aiuto di due amiche di vita, una storia dal carattere fortemente autobiografico, sempre sul punto di sbandare nel frammentario tanto è isterica la propensione a incatenare siparietti e confronti ora comici ora drammatici.
Si parte dalla crisi personale di Luisa (la stessa Bruni Tedeschi), ex attrice non più giovanissima che cede alla corte spietata di un attore (Garrel), anche lui deluso dalla professione e molto più giovane di lei. Si prosegue con il declino della sua ricca famiglia di industriali italiani trapiantati in Francia, i Rossi Levi, costretta a dover mettere in vendita lo splendido castello posto nella periferia piemontese per sanare una serie di gravosi debiti. Nel mezzo, ansie di maternità vissute col ticchettio dell’orologio all’orecchio, un fratello malato di Aids (Timi) e la sensazione di un destino ineluttabile, prossimo a venire.
Il castello del film è proprio quello che i Bruni Tedeschi misero in vendita qualche anno fa, la madre di Luisa è interpretata da Marisa Borini, vera madre di Valeria (e della premier dame Carlà), Timi evoca per davvero a un fratello morto di Aids a cui il film è dedicato, e Garrel è stato effettivamente l’ultimo compagno di vita della regista. Sembrerebbe un confessionale di ipocondrie borghesi in decadenza, e in alcuni momenti è forte la sensazione di un cinema colmo di autoreferenzialità, a uso e consumo di chi l’ha realizzato. In altri, però, la sincerità è talmente disarmante da conquistare completamente.
Il film è sgangherato e sfilacciato, alterna momenti di dolorosa intensità ad altri in cui sembra versare in una divertentissima farsa (e i tentativi di Luisa di rimanere fecondata, tra gite miracolose a Napoli e scenate in ospedale non si dimenticano), accumula personaggi poco rilevanti, è caotico di elementi e sentimenti. Bruni Tedeschi sembra dirci “vi dò tutta me stessa, il mio mondo, il mio vissuto” e per questo merita rispetto, nonostante tutto. Come attrice è magnifica, come regista deve ancora stabilizzarsi ma, in qualche modo, il racconto è sotto controllo e la direzione del cast è delle migliori, da una splendida Borini a Filippo Timi, dandy maledetto col bastone, in una prova da applausi a scena aperta. E il finale è malinconico e potente, chiusura perfetta di questo ritratto di famiglia in un castello.
Giuseppe D’Errico
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