
To the Wonder (id, Usa, 2012) di Terrence Malick, con Olga Kurylenko, Ben Affleck, Rachel McAdams, Javier Bardem, Romina Mondello, Tatiana Chiliene
Sceneggiatura di Terrence Malick
Drammatico, 1h 52′, 01 Distribution, in uscita il 4 luglio 2013
Voto: 6 su 10
In Concorso alla 69a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia
A Venezia 69, dove era tra i titoli in concorso per il Leone d’Oro, è stato accolto da un mare di boati e fischi, con pochi difensori ad applaudirlo appassionatamente. To the Wonder, l’ultimo film del maestro Terrence Malick, arriva in sala a quasi un anno da quella sfortunata presentazione, e con tutto il timore distributivo che un opera così ostica giustifica, confermando le indiscrezioni assordanti su un progetto fuori da ogni canone, gusto e ricezione, e la deriva mistico-ascetica del suo autore-filosofo.
Neil (Ben Affleck) e Marina (Olga Kurylenko), dopo essersi conosciuti e innamorati in Francia, dove lei vive, decidono di trasferirsi in Oklahoma, paese di lui; l’idillio sentimentale dei primi tempi, però, ben presto scompare per lasciare spazio alla perdita, al dolore, all’incertezza. L’uomo ritroverà per poco un amore di gioventù (Rachel McAdams), mentre Marina, che ha una figlia, cercherà conforto nelle parole di un prete (Javier Bardem) in piena crisi spirituale.
Dopo la cosmogonia dei primordi di The Tree of Life (Palma d’Oro a Cannes 2011, anch’esso pietra dello scandalo tra capolavoro e sberleffo), il cineasta texano, dopo 5 film in 38 anni, continua sulla strada dell’inesprimibile, di una ricerca intima e spirituale che possa convergere in una scoperta appagante perché sconosciuta e incondizionata, ammiccando già dal titolo a stupori impenetrabili e desideri inenarrabili (benché fuggevoli e rari), verso i quali l’uomo vorrebbe/dovrebbe sempre tendere.
Se nel film precedente era la Grazia della creazione, in ogni sua forma naturale e umana, a farsi motore centrale delle riflessioni malickiane, questa volta è il meraviglioso momento dell’Amore a essere raccontato, non tanto a parole quanto con la deflagrante suggestione delle immagini, da più angolazioni, assecondando una narrazione frastagliata tra presente e passato, reale e onirico, che procede per frammenti ed ellissi temporali, tra sussurri e non detti, balenando tra sfera terrena e spirituale per mezzo di personaggi ideali e borderline.
Confusionario? Peggio. Chi cerca una storia tradizionale si astenga: Malick porta alle estreme conseguenze la (in)stabilità drammaturgica dell’ultima fase artistica e non fa nulla per mettere a suo agio lo spettatore, disorientato e disturbato, ma anche ipnotizzato, da squarci lirici talmente laceranti da auto annullarsi, da una frammentarietà d’insieme che significa tutto e non arriva a nulla.
Imbarazza dirlo, ma To the Wonder sembra un cattivo prolungamento dei momenti meno riusciti di The Tree of Life; il film, quasi senza dialoghi ma afflitto da sentenziose farneticazioni in voice over sulla bellezza della vita e dell’amore di Dio per i suoi figli, diventa alla lunga un bombardamento di immagini di fascino incommensurabile che, con basi contenutistiche tanto soavi, scivolano pericolosamente nel pubblicitario (Lancôme ma anche Otto per mille alla chiesa cattolica).
Il caos babelico dei sentimenti umani è sottolineato dai quattro differenti idiomi utilizzati dagli attori (francese per la svolazzante Kurylenko, inglese per Affleck e McAdams in sosta tra i bisonti, spagnolo per Bardem vittima del dubbio e italiano per la Mondello, cui è affidato un penoso siparietto di esaltazione femminile culminante nella frase “Io sono l’esperimento di me setssa”), scelta che fa pensare al regista come a un presuntuoso capo carismatico, portatore di messaggi universali.
Un cinema-sfida, che sprona a confrontarsi con sé stessi e con i propri limiti emotivi, un ragionamento vertiginoso sull’impossibile, un noiosissimo fumettone zeppo di sterile catechesi, una lezione straordinaria di mistica cinematografica, un delirante guazzabuglio d’autore che può indignare e nauseare. O regalare l’opportunità di un’esperienza visiva ed emotiva ai limiti del concepibile.
Occorre donarsi pienamente per raggiungere la meraviglia. Non tutti ci riescono. Malick l’ha raggiunta?
Giuseppe D’Errico
Lascia un commento