The Program (id, GB, 2015) di Stephen Frears con Ben Foster, Chris O’Dowd, Guillaume Canet, Jesse Plemons, Dustin Hoffman, Laura Donnelly, Lee Pace, Hedward Hogg
Sceneggiatura di John Hodge, dal libro “Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong” di David Walsh
Biografico, 1h 43′, Videa, in uscita l’8 ottobre 2015
Voto: 6 su 10
Sul modello di The Queen – che però godeva di una mirabile sceneggiatura del commediografo Peter Morgan – Stephen Frears torna a cimentarsi con una cine-inchiesta biografica, questa volta dedicata a uno dei personaggi sportivi più controversi della storia recente, il ciclista Lance Armstrong. Partendo dal libro del giornalista inglese David Walsh (interpretato dal comico Chris O’Dowd), che per primo dubitò della reale bontà agonistica dell’atleta americano, vincitore tra gli anni Novanta e i primi Duemila di sette Tour de France e con la sconfitta di un cancro ai testicoli a rafforzarne il mito supereroistico, Frears porta in scena con The Program la repentina ascesa e la scandalosa rovina di una carriera che sembrava non avere freni.
Dalle prime seduzioni verso le sostanze dopanti al “programma” studiato per lui dal medico ferrarese Michele Ferrari (Canet), fino alla malattia, ai grandi successi podistici e al commercio di un vero e proprio sistema di frode fatto di analisi truccate, corruzione e popolarità, quella di Armstrong (Foster) è una parabola in picchiata verso la vergognosa confessione nel salotto di Oprah Winfrey, successiva alla squalifica e al ritiro di tutti i riconoscimenti.
Frears è un maestro nelle ricostruzioni d’ambiente, e anche in questo caso dimostra una lucidità di messa in scena nei confronti della materia trattata tale da sfiorare la freddezza di una catalogazione documentaria. Il film scorre velocissimo sulle ruote dei continui inganni del protagonista, così veloce da travolgere anche le falle del copione di John Hodge, che vorrebbe raccontare la storia di una truffa nello stile del suo celebre Trainspotting. La trovata non era male, ma il febbrile scorrere degli eventi costringe a glissare clamorosamente su molti dei dubbi che, come è inevitabile, vengono a galla durante la narrazione: non un accenno sulla vita privata di Armstrong, poco o nullo l’interesse verso la sua psicologia contorta, nessuna luce sui magheggi per i controlli anti doping, silenzio assoluto sul post-scandalo. In questo modo, The Program finisce per assomigliare a una convulsa indagine che fallisce proprio nel suo intento principale, ossia raccontare i retroscena, anche privati, celati dalle pagine dei giornali, e che il documentario The Armstrong Lie di Alex Gibney aveva analizzato con sottile puntiglio. Anche lo stile filmico ne risente, giacché una tale distanza rispetto ai fatti esposti dovrebbe essere estranea a un opera cinematografica. In definitiva, l’unica cosa che, paradossalmente, ha il sapore del cinema (che sia biografico o di finzione) è l’irritante overacting di Ben Foster.
Giuseppe D’Errico
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