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Venezia79 – Concorso: “Bones and All”, un film di Luca Guadagnino, la recensione

Bones and All (id, Usa, 2022) di Luca Guadagnino con Taylor Russell, Timothée Chalamet, Mark Rylance, André Holland, Chloë Sevigny, Jessica Harper, David Gordon Green, Michael Stuhlbarg, Jake Horowitz

Sceneggiatura di David Kajganich dal romanzo omonimo di Camille DeAngelis

Drammatrico, 2h 10’, Vision Distribution

Voto: 8 su 10

Non ha scelto la strada più facile Luca Guadagnino, il più internazionale dei nostri registi, per la sua prima prova cinematografica in terra statunitense (in realtà il ghiaccio era già stato rotto con la bellissima miniserie tv We are who we are): Bones and All è infatti una storia d’amore on the road tra due giovani cannibali, attraverso i paesaggi più desolati del west americano di epoca reaganiana. Facile (s)cadere, con simili premesse, nell’ovvietà dell’horror di colore o, peggio ancora, nei sospiri stereotipati di un young adult senza sostanza. David Kajganich, nuovamente al servizio di Guadagnino dopo le sceneggiature per A bigger splash e Suspiria, sceglie invece la linea di una delicata introspezione nell’adattare il romanzo omonimo della scrittrice Camille DeAngelis, e offre al regista la possibilità di un’indagine a suo modo struggente sulla ricerca di sé, di un’appartenenza, di quel posto nel mondo in cui sentirsi accettati e al sicuro.

Venezia78 – Giornate degli Autori: “Il silenzio grande”, un film di Alessandro Gassmann, la recensione

Il silenzio grande (Italia/Polonia, 2021) di Alessandro Gassmann con Massimiliano Gallo, Margherita Buy, Marina Confalone, Antonia Fotaras, Emanuele Linfatti

Sceneggiatura di Andrea Ozza, Maurizio De Giovanni e Alessandro Gassmann, tratta dalla pièce teatrale omonima di Maurizio De Giovanni

Drammatico, 1h 46’, Vision Distribution, in uscita il 16 settembre 2021

Voto: 5½ su 10

La vendita della grande casa di famiglia è un topos letterario e cinematografico che non ha mai smesso di esercitare il suo angoscioso ascendente sul pubblico. Spesso cuore pulsante di complesse vicende private e di scontri generazionali, il distacco dalla magione è vissuto al pari di un lutto, un’esperienza catartica che si fa metafora di fine e rinascita. Recentemente, ne aveva fornito un bell’esempio la nostra Valeria Bruni Tedeschi nell’autobiografico Un castello in Italia, da lei scritto, diretto e interpretato. Con Il silenzio grande, invece, è un altro nome di illustre genìa, Alessandro Gassmann, a misurarsi con i toni intimisti che l’argomento impone, e chissà se nelle incomprensioni padre-figlio della trama sia corretto scorgere i conflitti con papà Vittorio.

“Gli indifferenti”, un film di Leonardo Guerra Seràgnoli, la recensione

Gli indifferenti (id, Italia, 2020) di Leonardo Guerra Seràgnoli con Valeria Bruni Tedeschi, Giovanna Mezzogiorno, Edoardo Pesce, Vincenzo Crea, Beatrice Grannò, Denise Tantucci, Pilar Fogliati

Sceneggiatura di Leonardo Guerra Seràgnoli e Alessandro Valenti, liberamente ispirato al romanzo omonimo di Alberto Moravia

Drammatico, 1h 21’, Vision Distribution, in VOD

Voto: 4½ su 10

Quando nel 1929 Alberto Moravia diede alle stampe il suo romanzo d’esordio, Gli indifferenti, la classe dirigente italiana, che proprio tra quelle pagine veniva irrisa in un’audace e grottesca tragedia famigliare, si apprestava inerme ad abbracciare gli ideali fascisti, con le conseguenze tristemente consegnate alle carte della storia. Un’opera fondamentale, dunque, per quel tempo, riservata a destare scandalo e condannata dai puristi classicisti, così come i successivi lavori dell’autore romano, sempre pronto a mettere alla berlina i vizi, le ipocrisie, la vacuità e il velleitarismo della borghesia dell’epoca. Non è un caso se tutte queste caratteristiche trovarono terreno fertile nella stagione cinematografica del boom, quel decennio o poco più, a cavallo tra i Cinquanta e i Sessanta, in cui le nostre sale erano avide di ritratti al vetriolo della società italiana: Moravia è stato tra gli scrittori più utilizzati per il grande schermo (su tutti La Ciociara, ma anche La romana, Il conformista e La noia, solo per citare i titoli più celebri) e anche Gli indifferenti trovò la sua, invero ingiustamente sfortunata, trasposizione per mano di Francesco Maselli. Era il 1964, ad interpretarla c’era un sontuoso cast formato da Paulette Goddard, Rod Steiger, Claudia Cardinale, Shelley Winters e Tomas Milian. Molti anni più tardi, nel 1988, un altro grande regista come Mario Bolognini si misurava con il testo moraviano per una riduzione televisiva che annoverava tra gli interpreti Liv Ullman e Peter Fonda.

“Ma cosa ci dice il cervello”, un film di Riccardo Milani, la recensione

Ma cosa ci dice il cervello (Italia, 2019) di Riccardo Milani con Paola Cortellesi, Stefano Fresi, Vinicio Marchioni, Claudia Pandolfi, Lucia Mascino, Carla Signoris, Remo Girone, Tomas Arana, Teco Celio, Paola Minaccioni, Ricky Memphis, Giampaolo Morelli, Alessandro Roja

Sceneggiatura di Furio Andreotti, Giulia Calenda, Paola Cortellesi e Riccardo Milani

Commedia, 1h 38′, Vision Distribution, in uscita il 18 aprile 2019

Voto: 4½ su 10

Qual è il difetto principale di un film come Ma cosa ci dice il cervello? Il film di Riccardo Milani, reduce dal successo trionfale di Come un gatto in tangenziale e scritto dalla stessa squadra di sceneggiatori, parte con le migliori intenzioni moralizzatrici: far riflettere il pubblico sulle quotidiane bassezze che l’italiano medio deve sopportare, spesso in modo inerme, per poter arrivare a fine giornata. L’intento è subito messo in chiaro sin dalle sequenze d’apertura, con la protagonista, col volto avvilito di Paola Cortellesi, che esce di casa per accompagnare la figlia a scuola e recarsi lei stessa alla propria sede lavorativa, ma il percorso è disseminato di continui ostacoli: sacchetti della spazzatura lanciati dal finestrino, cacche di cane sul marciapiede, auto posteggiate in doppia fila che bloccano il traffico, improperi violenti e utilizzo selvaggio del clacson si sprecano, parcheggi scriteriati e tanto altro. Si direbbe che il film, evidentemente, si pone sulla scia di una bonaria critica sociale, e non ci sarebbe nulla di male in questo, tutt’altro.

“Nove lune e mezza”, un film di Michela Andreozzi, la recensione

Nove lune e mezza (Italia/Spagna, 2017) di Michela Andreozzi con Claudia Gerini, Michela Andreozzi, Giorgio Pasotti, Stefano Fresi, Lillo Petrolo, Nunzia Schiano, Massimiliano Vado, Paola Tiziana Cruciani, Claudia Potenza, Alessandro Tiberi, Federica Cifola, Nello Mascia, Graziella Marina, Arisa

Sceneggiatura di Michela Andreozzi, Alessia Crocini, Fabio Morici

Commedia, 1h 40′, Vision Distribution, in uscita il 12 ottobre 2017

Voto: 6½ su 10

Prima di tutto, c’è da registrare una notizia curiosa: il film non si fregia del brevetto “d’interesse culturale nazionale” che il nostro Ministero elargisce a piene mani anche per le pellicole più deprecabili. Cosa avrà mai avuto Nove lune e mezza per non meritarlo (ammesso che sia stato sottoposto alla candidatura, ma non abbiamo motivi per credere il contrario) resterà un mistero ben chiuso nelle menti dei membri del comitato. Ciò detto, accogliamo con favore un esordio tardivo alla regia, quello della simpatica attrice e autrice Michela Andreozzi, che scrive – con Alessia Crocini e Fabio Morici – e dirige una deliziosa commedia che, con della sana leggerezza, riesce a far riflettere su temi come genitorialità surrogata, procedure di adozione e realizzazione femminile. Nel giro di un mese, è già il secondo film italiano a trattare simili questioni, dopo l’ambizioso e ben poco riuscito Una famiglia di Sebastiano Riso, visto in concorso a Venezia 74.

Venezia74 – Concorso: “Mektoub, My Love: Canto Uno”, un film di Abdellatif Kechiche, la recensione

Mektoub, My Love: Canto Uno (id, Francia/Italia/Tunisia) di Abdellatif Kechiche con Shaïn Boumedine, Ophélie Bau, Salim Kechiouche, Lou Luttiau, Alexia Chardard, Hafsia Herzi, Kamel Saadi, Estefania Argelich

Sceneggiatura di Abdellatif Kechiche, Ghalya Lacroix dal romanzo “La blessure la vraie” di François Bégaudeau

Commedia, 3h, Vision Distribution/Good Films

Voto: 4 su 10

Il miracolo cinematografico dello sconvolgente La vita di Adele non si ripete, ma Kechiche ne replica lo stile, in peggio. È Mektoub, My Love, primo canto di un trittico ispirato al romanzo “La blessure la vraie” di François Bégaudeau, che il regista franco-tunisino, vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 2013 e per la quarta volta alla Mostra del Cinema di Venezia, ha diretto tra enormi difficoltà finanziarie. Un progetto monumentale per raccontare la meraviglia dell’adolescenza durante l’estate del 1994, tenendo fede a una concezione registica che annienta la normale indiscrezione del mezzo cinematografico per lasciare spazio alla vita hic et nunc, assecondando la recitazione improvvisata degli attori e lavorando di cesello in sede di montaggio.

#arenaestiva: “Monolith”, un film di Ivan Silvestrini, la recensione

Monolith (id, Italia, 2016) di Ivan Silvestrini con Katrina Bowden, Damon Dayoub, Brandon Jones, Jay Hayden

Sceneggiatura di Elena Bucaccio, Stefano Sardo, Ivan Silvestrini, Mauro Uzzeo, dal fumetto omonimo di Roberto Recchioni (Bonelli Editore)

Horror, 1h 26’, Vision Distribution, in uscita il 12 agosto 2017

Voto: 6 su 10

Fin dove si è disposti ad arrivare per mettere al sicuro la vita dei propri cari? Uno spunto sul quale ci porta a riflettere il film di Ivan Silvestrini Monolith, sua terza regia dopo l’apprezzata commedia Come non detto e il poco visto 2Night, e sua prima incursione nel cinema di genere. La pellicola, infatti, affonda le proprie radici nell’ormai annoso dibattito che vede imputati l’uomo e il sempre più minaccioso avanzamento tecnologico, quest’ultimo reo di sostituirsi troppo spesso al senso decisionale della mente umana. Sulla questione, la storia del cinema si è ampiamente espressa, il più delle volte ipotizzando panorami funesti per il genere umano, soppiantato dall’avvento di dispositivi sempre più autonomi e in grado di ribaltare il primato del ruolo. Accadeva a Julie Christie di rimanere vittima dei propri elettrodomestici nel seminale Generazione Proteus, e si ripete oggi l’incubo per Katrina Bowden, la cui dabbenaggine rischia di mettere in serio pericolo l’incolumità del figlioletto in quest’angoscioso thriller orrorifico, quasi interamente ambientato nel roccioso deserto americano.