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“L’insulto”, un film di Ziad Doueiri, la recensione

L’insulto (L’insulte, Libano/Francia, 2017) di Ziad Doueiri con Adel Karam, Kamel El Basha, Camille Salameh, Carlos Chahine, Christine Choueiri, Diamand Abou Abboud, Julia Kassar, Rifaat Torbey, Rita Hayek, Talal El Jurdi

Sceneggiatura di Joelle Touma, Ziad Doueiri

Drammatico, 1h 53′, Lucky Red, in uscita il 6 dicembre 2017

Voto: 8 su 10

Parte da un episodio biografico relativo al regista Ziad Doueiri, già assistente di Quentin Tarantino, e della sua ex moglie, anche co-sceneggiatrice, la genesi creativa de L’insulto, il film franco-libanese presentato con grande successo all’ultima Mostra del Cinema di Venezia (Coppa Volpi per il protagonista Kamel El Basha) e in corsa per l’Oscar alla miglior opera in lingua straniera. Come egli stesso ha raccontato, tutto nasce da uno scambio di battute piuttosto pesante con un operaio palestinese, bagnato dall’acqua che Doueiri stava dando ai suoi cactus sul balcone: il primo gli ha dato del “pappone”, il regista ha replicato con “avrei preferito che Ariel Sharon vi avesse sterminati”. Fortunatamente, alle offese sono seguite anche le scuse immediate da ambo le parti; ma cosa sarebbe successo se la questione non fosse stata chiusa subito?

“Nico, 1988”, un film di Susanna Nicchiarelli, la recensione

Nico, 1988 (Italia/Belgio, 2017) di Susanna Nicchiarelli con Trine Dyrholm, John Gordon Sinclair, Anamaria Marinca, Sandor Funtek, Thomas Trabacchi, Karina Fernandez, Calvin Demba, Francesco Colella

Sceneggiatura di Susanna Nicchiarelli

Biografico, 1h 33′, I Wonder Pictures, in uscita il 12 ottobre 2017

Voto: 7 su 10

Figura complessa quella di Nico, al secolo Christa Päffgen: un’infanzia segnata dall’incubo nazista in Germania, una giovinezza passata sulle passerelle dell’alta moda internazionale, per poi passare al cinema con registi come Fellini (La dolce vita, 1960) e Minnelli (Castelli di sabbia, 1965), le relazioni sentimentali con Brian Jones dei Rolling Stones, con Alain Delon (padre del figlio da lui disconosciuto) e Bob Dylan, fino all’ingresso nella Factory di Andy Warhol. Fu proprio il maestro della Pop Art a introdurla nel gruppo rock dei Velvet Underground, del quale rappresentò l’effimera musa, giusto il tempo di accompagnare Lou Reed col tamburello durante il tour del loro primo e unico album con lei, nel 1967. La carriera di Nico proseguirà da solista, con l’incisione di diversi dischi ma senza riscontrare mai vero successo, anche a causa dei suoi problemi di tossicodipendenza. Finì per trovare la morte a Ibiza nel 1988, per una banale caduta dalla bicicletta. Aveva 49 anni.

Venezia74: il meglio e il peggio di questa Mostra del Cinema

La 74. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia si è conclusa laureando il regista messicano Guillermo del Toro con il Leone d’Oro per il suo splendido The Shape of Water, a sugellare un’edizione per molti versi irripetibile. Da anni non si assisteva a un cartellone così ricco e interessante, con tutto il meglio che la prossima stagione cinematografica avrà da offrire. Con grande soddisfazione e un senso di pienezza che stenterà a ripetersi, congediamo Venezia 74 con una goliardica carrellata del meglio e del peggio che abbiamo visto e vissuto in questi dieci frenetici giorni di cinema.

Venezia74 – Fuori Concorso: “Le Fidèle”, un film di Michaël R. Roskam, la recensione

Le Fidèle (id, Belgio/Francia, 2017) di Michaël R. Roskam con Matthias Schoenaerts, Adèle Exarchopoulos, Eric De Staercke, Jean-Benoit Ugeux, Nabil Missoumi, Thomas Coumans

Sceneggiatura di Thomas Bidegain, Noe Debre, Michael R. Roskam

Drammatico, 2h 10′

Voto: 6½ su 10

Definito un amour noir dal regista Michaël R. Roskam, Le Fidèle è l’ideale secondo capitolo di una possibile trilogia criminale belga, inaugurata nel 2011 col durissimo Bullhead, dramma sportivo sulla mafia degli ormoni, e arrivata ora a raccontare le famose gang di Bruxelles e il mondo delle gare automobilistiche, in attesa di un terzo capitolo che, garantito, arriverà. Ma non c’è pretesa di portare sullo schermo i tanto ricercati “fatti realmente accaduti”: l’ispirazione non serve a far conoscere un gangster reale, e neppure a riportare una cronaca dettagliata di un particolare misfatto, ma solo per parlare dell’amore impossibile fra un homme et une femme, per dirla restando nell’ambito dell’evidente omaggio a Claude Lelouch che Roskam mette in atto in questo solido dramma sentimentale.

Venezia74 – Concorso: “Mektoub, My Love: Canto Uno”, un film di Abdellatif Kechiche, la recensione

Mektoub, My Love: Canto Uno (id, Francia/Italia/Tunisia) di Abdellatif Kechiche con Shaïn Boumedine, Ophélie Bau, Salim Kechiouche, Lou Luttiau, Alexia Chardard, Hafsia Herzi, Kamel Saadi, Estefania Argelich

Sceneggiatura di Abdellatif Kechiche, Ghalya Lacroix dal romanzo “La blessure la vraie” di François Bégaudeau

Commedia, 3h, Vision Distribution/Good Films

Voto: 4 su 10

Il miracolo cinematografico dello sconvolgente La vita di Adele non si ripete, ma Kechiche ne replica lo stile, in peggio. È Mektoub, My Love, primo canto di un trittico ispirato al romanzo “La blessure la vraie” di François Bégaudeau, che il regista franco-tunisino, vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 2013 e per la quarta volta alla Mostra del Cinema di Venezia, ha diretto tra enormi difficoltà finanziarie. Un progetto monumentale per raccontare la meraviglia dell’adolescenza durante l’estate del 1994, tenendo fede a una concezione registica che annienta la normale indiscrezione del mezzo cinematografico per lasciare spazio alla vita hic et nunc, assecondando la recitazione improvvisata degli attori e lavorando di cesello in sede di montaggio.

Venezia74 – Fuori Concorso: “Victoria & Abdul”, un film di Stephen Frears, la recensione

Victoria & Abdul (id, Usa/GB, 2017) di Stephen Frears con Judi Dench, Ali Azar, Eddie Izzard, Olivia Williams, Michael Gambon, Adeel Akhtar, Simon Callow

Sceneggiatura di Lee Hall, dal libro “Victoria & Abdul: The True Story Of The Queen’s Closest Confidant” di Shrabani Basu

Biografico, 1h 50′, Universal Pictures International Italy, in uscita il 26 ottobre 2017

Voto: 8 su 10

Nel 1887, in occasione del Golden Jubilee che celebrava i 50 anni di regno della gloriosa Regina Vittoria, arrivò una moneta in dono dall’India, ancora colonia inglese, per festeggiare la sovrana; il prescelto alla consegna fu il ventiquattrenne Karim Abdul, inviato a Londra dalla natale Agra, dove era impiegato alla compilazione dei registri della prigione centrale. Nel giro di breve tempo dal suo arrivo, il giovane e aitante indiano divenne una figura di primo piano a corte: insignito del titolo di Munshi, o insegnante, dapprima istruì la regina sulle lingue Urdu e Hindi, poi la sua influenza sulla vita dell’anziana monarca divenne sempre più profonda, al pari se non maggiore di quella che già aveva esercitato su di lei John Brown, un servitore scozzese divenuto suo confidente e intimo amico dopo la morte dell’adorato marito, il principe consorte Alberto, scomparso nel 1861. 

Venezia74 – Concorso: “madre!”, un film di Darren Aronofsky, la recensione

madre! (mother!, Usa, 2017) di Darren Aronofsky con Jennifer Lawrence, Javier Bardem, Michelle Pfeiffer, Ed Harris, Domhnall Gleeson, Brian Gleeson, Kristen Wiig, Stephen McHattie, Jovan Adepo, Robert Higden, Amanda Warren

Sceneggiatura di Darren Aronofsky

Horror, 2h, Paramount Pictures/20th Century Fox Italia, in uscita il 28 settembre 2017

Voto: 8½ su 10

François Truffaut, nell’imprescindibile intervista-saggio “Il cinema secondo Hitchcock”, inserisce Marnie, diretto dal re del brivido nel 1964, nella categoria dei “grandi film malati”, ossia quei film diretti da registi che hanno dimostrato di poter raggiungere altissimi livelli artistici e che, per eccesso di sincerità, incappano in qualche caso in risultati dove la vera ragion d’essere risiede nei difetti; proprio per questo, titoli simili si fanno apprezzare più dagli ammiratori e meno dal grande pubblico. Un certo grado di cinefilia porta, talvolta, a preferire nell’opera di un regista il suo “grande film malato” al capolavoro incontestato. Ora, senza voler essere sacrileghi avanzando impossibili paragoni col maestro di Psycho, pensiamo di poter inserire mother! di Darren Aronofsky in tale categoria, senza per questo essere particolari sostenitori del regista statunitense, ma apprezzando da sempre il rischio, drammaturgico e stilistico, in qualunque produzione cinematografica.

Venezia74: “Three Billboards outside Ebbing, Missouri”, un film di Martin McDonagh, la recensione

Three Billboards outside Ebbing, Missouri (id, GB/Usa, 2017) di Martin McDonagh con Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell, Abbie Cornish, Lucas Hedges, Željko Ivanek, Caleb Landry Jones, Clarke Peters, Samara Weaving, John Hawkes, Peter Dinklage

Sceneggiatura di Martin McDonagh

Drammatico, 2h 01′, 20th Century Fox

Voto: 8½ su 10

Non c’è pace per una madre in cerca di giustizia nel terzo film di Martin McDonagh, autore inglese già apprezzato in patria per una serie di importanti testi teatrali, nonchè regista di un cortometraggio Premio Oscar (Six Shooter, 2005) e di due opere per il cinema che hanno saputo distinguersi nel panorama di genere (In Bruges, 2008, e 7 Psicopatici, 2012). Ma è con Three Billboards outside Ebbing, Missouri, che firma il suo lavoro migliore, quello in cui conferma la piena maturità artistica, sia da un punto di vista di estetica che di poetica cinematografica.

Venezia74 – Concorso: “Charley Thompson – Lean on Pete”, un film di Andrew Haigh, la recensione

Charley Thompson (Lean on Pete, GB, 2017) di Andrew Haigh con Charlie Plummer, Steve Buscemi, Chloë Sevigny, Travis Fimmel, Steve Zahn

Sceneggiatura di Andrew Haigh, dal romanzo “La ballata di Charley Thompson” di Willy Vlautin (ed. Mondadori)

Drammatico, 2h 01′, Teodora Film

Voto: 6½ su 10

Quello di Andrew Haigh è un cinema lineare, che non inganna lo spettatore con flashback, segreti o colpi di scena ribaltatori. Lo conferma Lean on Pete (che in Italia sarà distribuito da Teodora Film col titolo Charley Thompson), suo terzo lungometraggio dopo gli apprezzatissimi Weekend e 45 anni. Ancora una volta, l’autore britannico concentra la sua narrazione in un breve lasso di tempo: se nel suo esordio la trama si consumava nei due giorni del titolo, e nell’opera successiva in meno di una settimana, qui l’azione si sviluppa in un arco temporale di poco più disteso.

Venezia74 – Concorso: “La forma dell’acqua – The Shape of Water”, un film di Guillermo del Toro, la recensione

La forma dell’acqua – The Shape of Water (The Shape of Water, Usa, 2017) di Guillermo del Toro con Sally Hawkins, Richard Jenkins, Octavia Spencer, Michael Shannon, Doug Jones, Michael Stuhlbarg, Lauren Lee Smith

Sceneggiatura di Guillermo del Toro, Vanessa Taylor

Fantasy, 2h 03′, 20th Century Fox, in uscita il 14 febbraio 2018

Voto: 8½ su 10

Il nostro grande Francesco Rosi diceva che l’unico antidoto al cinismo è la speranza; per il regista messicano Guillermo del Toro, invece, la sola via possibile è quella della fiaba, un tipo di racconto nato per sconfiggere le avversità, proprio quando la speranza sembrava ormai perduta. La forma dell’acqua, l’ultimo film dell’autore di Hellboy, nasce da questa filosofia e celebra, sulle ali di un romanticismo tanto sfacciato quanto trascinante, l’amore come forza “più gentile e potente dell’universo”, libero e senza forma fino a quando non fluisce nel soggetto al quale è destinato, al pari dell’acqua. Fa piacere, quindi, constatare il cuore di panna di del Toro, reduce dal parziale fallimento dell’horror gotico Crimson Peak e ora curiosamente a suo agio nei luoghi di una struggente fiaba sentimentale dove, riecheggiando al Mostro della laguna nera di Jack Arnold, a trionfare è soprattutto un’orgogliosa diversità.