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Venezia79 – Concorso: “Bones and All”, un film di Luca Guadagnino, la recensione

Bones and All (id, Usa, 2022) di Luca Guadagnino con Taylor Russell, Timothée Chalamet, Mark Rylance, André Holland, Chloë Sevigny, Jessica Harper, David Gordon Green, Michael Stuhlbarg, Jake Horowitz

Sceneggiatura di David Kajganich dal romanzo omonimo di Camille DeAngelis

Drammatrico, 2h 10’, Vision Distribution

Voto: 8 su 10

Non ha scelto la strada più facile Luca Guadagnino, il più internazionale dei nostri registi, per la sua prima prova cinematografica in terra statunitense (in realtà il ghiaccio era già stato rotto con la bellissima miniserie tv We are who we are): Bones and All è infatti una storia d’amore on the road tra due giovani cannibali, attraverso i paesaggi più desolati del west americano di epoca reaganiana. Facile (s)cadere, con simili premesse, nell’ovvietà dell’horror di colore o, peggio ancora, nei sospiri stereotipati di un young adult senza sostanza. David Kajganich, nuovamente al servizio di Guadagnino dopo le sceneggiature per A bigger splash e Suspiria, sceglie invece la linea di una delicata introspezione nell’adattare il romanzo omonimo della scrittrice Camille DeAngelis, e offre al regista la possibilità di un’indagine a suo modo struggente sulla ricerca di sé, di un’appartenenza, di quel posto nel mondo in cui sentirsi accettati e al sicuro.

“The Post”, un film di Steven Spielberg, la recensione

The Post (id, Usa, 2018) di Steven Spielberg con Meryl Streep, Tom Hanks, Sarah Paulson, Matthew Rhys, Bob Odenkirk, Tracy Letts, Bradley Whitford, Bruce Greenwood, Alison Brie, Carrie Coon, Jesse Plemmons, David Cross, Michael Stuhlbarg

Sceneggiatura di Liz Hannah, Josh Singer

Biografico, 1h 58′, 01 Distribution, in uscita il 1 febbraio 2018

Voto: 8½ su 10

Steven Spielberg è uno dei pochissimi cineasti statunitensi che ancora continua a difendere sul grande schermo le spoglie del classicismo autoriale. The Post, il suo trentesimo lungometraggio, non solo si inserisce di diritto in quella stagione fondamentale per il cinema americano che portò l’inchiesta giornalistica nelle sale, con titoli in grado di affrontare il genere sempre con ottica differente (si pensi solamente all’originalità di approccio di volta in volta più audace di pietre miliari come Quarto potere di Welles, Barriera invisibile di Kazan o L’asso nella manica di Wilder, senza contare gli innesti con la commedia – La signora del venerdì di Hawks – e con il thriller – L’ultima minaccia di Brooks -), ma si spinge oltre, fino ad agganciarsi, non solo idealmente, ad un’opera cardine del cospirazionismo politico degli anni Settanta, quel Tutti gli uomini del presidente di Alan J. Pakula, 4 Oscar nel 1976, che iniziava esattamente dove Spielberg termina il suo racconto, sulle immagini notturne dell’effrazione al Watergate. Il resto è grande cinema, oltre che cronaca fedele di una dimissione presidenziale.

“Chiamami col tuo nome”, un film di Luca Guadagnino, la recensione

Chiamami col tuo nome (Call Me by Your Name, Francia/Italia/Usa/Brasile, 2017) di Luca Guadagnino con Timothée Chalamet, Armie Hammer, Michael Stuhlbarg, Amira Casar, Esther Garrel, Victoire Du Bois

Sceneggiatura di James Ivory, Luca Guadagnino e Walter Fasano, dal romanzo omonimo di André Aciman (ed. Guanda, coll. Narratori della Fenice)

Drammatico, 2h 12′, Warner Bros. Entertainment Italia, in uscita il 25 gennaio 2018

Voto: 8 su 10

Scriveva Cesare Pavese, nel racconto Fine d’agosto, che ci sono “estati che hanno ormai nel ricordo un colore unico, sonnecchiano istanti che una sensazione o una parola riaccendono improvvisi, e subito comincia lo smarrimento della distanza, l’incredulità di ritrovare tanta gioia in un tempo scomparso e quasi abolito”. L’estate del 1983 di Chiamami col tuo nome di Luca Guadagnino, tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman, ci riporta a percezioni analoghe, a una stagione lontana nel tempo e mitizzata nella memoria, che ritorna ad affacciarsi tra i pensieri della giovinezza in una vertigine vitale di suoni, colori, sapori ed emozioni.

In quest’atmosfera si consuma l’amore, assoluto quanto effimero, tra Elio (Timothée Chalamet), figlio diciassettenne di archeologi cosmopoliti, e Oliver (Armie Hammer), uno studente americano più grande di lui, giunto nella residenza estiva dei genitori del ragazzo per approfondire i suoi studi. Intorno a loro c’è la verde campagna lombarda, la voce di un fermento politico destinato a fare storia e il mistero di un sentimento nuovo, vissuto nella propria idilliaca pienezza. Le ragazze restano sullo sfondo, incapaci di sostenere quell’amore che porta a scambiare il proprio nome con quello dell’altro.

Venezia74 – Concorso: “La forma dell’acqua – The Shape of Water”, un film di Guillermo del Toro, la recensione

La forma dell’acqua – The Shape of Water (The Shape of Water, Usa, 2017) di Guillermo del Toro con Sally Hawkins, Richard Jenkins, Octavia Spencer, Michael Shannon, Doug Jones, Michael Stuhlbarg, Lauren Lee Smith

Sceneggiatura di Guillermo del Toro, Vanessa Taylor

Fantasy, 2h 03′, 20th Century Fox, in uscita il 14 febbraio 2018

Voto: 8½ su 10

Il nostro grande Francesco Rosi diceva che l’unico antidoto al cinismo è la speranza; per il regista messicano Guillermo del Toro, invece, la sola via possibile è quella della fiaba, un tipo di racconto nato per sconfiggere le avversità, proprio quando la speranza sembrava ormai perduta. La forma dell’acqua, l’ultimo film dell’autore di Hellboy, nasce da questa filosofia e celebra, sulle ali di un romanticismo tanto sfacciato quanto trascinante, l’amore come forza “più gentile e potente dell’universo”, libero e senza forma fino a quando non fluisce nel soggetto al quale è destinato, al pari dell’acqua. Fa piacere, quindi, constatare il cuore di panna di del Toro, reduce dal parziale fallimento dell’horror gotico Crimson Peak e ora curiosamente a suo agio nei luoghi di una struggente fiaba sentimentale dove, riecheggiando al Mostro della laguna nera di Jack Arnold, a trionfare è soprattutto un’orgogliosa diversità.

“Miss Sloane – Giochi di potere”, un film di John Madden, la recensione

Miss Sloane – Giochi di potere (Miss Sloane, Usa, 2016) di John Madden con Jessica Chastain, Mark Strong, Gugu Mbatha-Raw, Alison Pill, Michael Stuhlbarg, Jake Lacy, Sam Waterston, John Lithgow, Christine Baranski

Sceneggiatura di Jonathan Perera

Thriller, 2h 12’, 01 Distribution, in uscita il 7 settembre 2017

Voto: 7 su 10

“Se non lotti per le tue idee, o non valgono le tue idee o non vali tu”. Non è un proverbio giapponese, ma una delle tante frasi a effetto che pronuncia una fantastica Jessica Chastain alle prese con un title role decisamente ostico e periglioso, Miss Sloane, la più abile e ricercata lobbista di Washington, disposta a tutto pur di non perdere una partita con i suoi avversari del momento. L’ha diretta con grande attenzione l’esperto John Madden, che conferma di sentirsi particolarmente a suo agio, dopo l’ottimo Il debito, tra psicologie borderline e macchinazioni cospirative nei piani alti del potere americano.

“Arrival”, un film di Denis Villeneuve, la recensione

Arrival (id, Usa, 2016) di Denis Villeneuve con Amy Adams, Jeremy Renner, Forest Whitaker, Michael Stuhlbarg, Mark O’Brien

Sceneggiatura di Eric Heisserer dal racconto “Storia della tua vita” di Ted Chiang (compreso nelle antologie “Storie della tua vita”, ed. Stampa Alternativa e “Arrival e altre Storie della tua vita”, ed. Frassinelli)

Fantascienza, 1h 58’, Warner Bros. Pictures Italia, in uscita il 19 gennaio 2017

Voto: 7 su 10

Sarà il regista dell’attesissimo sequel di Blade Runner, ma già da qualche anno il canadese Denis Villeneuve era riuscito a costruirsi una reputazione artistica invidiabile, con all’attivo opere apprezzate come La donna che canta, Prisoners e Sicario. Il suo ultimo film, Arrival, presentato in concorso all’ultimo festival di Venezia e in corsa per ben otto premi Oscar, può far ben sperare per le sorti del genere fantascientifico, che ritorna a quella declinazione insieme contemplativa, privata e umanista resa memorabile soprattutto da Stanley Kubrick e Steven Spielberg negli anni Settanta.

“Steve Jobs”, Boyle e Sorkin per un biopic rivoluzionario sul genio di Apple

Steve Jobs (id, Usa, 2015) di Danny Boyle con Michael Fassbender, Kate Winslet, Seth Rogen, Jeff Daniels, Michael Stuhlbarg, Katherine Waterston, Sarah Snook, Perla Haney-Jardine

Sceneggiatura di Aaron Sorkin dalla biografia “Steve Jobs” di Walter Isaacson (ed. Mondadori)

Biografico, 2h 02′, Universal Pictures International Italy, in uscita il 21 gennaio 2016

Voto: 8 su 10

Il motivo principale per cui Steve Jobs di Danny Boyle è un film da vedere e tramandare è essenzialmente uno, l’aver rivoluzionato le regole di un genere piatto e istituzionale come quello biografico. Scritto con mirabile verve da Aaron Sorkin, lo sceneggiatore di The West Wing e The Social Network, il film non racconta la vita pubblica ma l’uomo privato, focalizzandosi su tre precisi momenti della parabola del creatore di Apple, restituiti con altrettante tecniche di ripresa.

“Blue Jasmine”, Cate/Blanche per Allen: un po’ troppo “Tram”!

Blue Jasmine (Id, Usa, 2013) di Woody Allen, con Cate Blanchett, Alec Baldwin, Sally Hawkins, Peter Sarsgaard, Bobby Cannavale, Louis C.K., Andrew Dice Clay, Michael Stuhlbarg, Tammy Blanchard

Sceneggiatura di Woody Allen

Drammatico, 1h 30′, Warner Bros. Pictures Italia, in uscita il 5 dicembre 2013

Voto: 6½ su 10

Che strano effetto fa trovarsi di fronte a un dichiarato e volontario “omaggio” a uno dei classici per eccellenza, sia teatrale che cinematografico, ovvero “Un tram che si chiama desiderio” di Tennessee Williams. Woody Allen lo prende a modello e, in una operazione paragonabile a quella di “West side story” per “Romeo e Giulietta”, crea un suo film, Blue Jasmine, attualizzando il conflitto Blanche/Stella, che acquista vita autonoma in nuovi sviluppi drammaturgici, conservandone però l’arco di trasformazione dei personaggi e loro psicologie.