“Southpaw – L’ultima sfida”, una parabola di riscatto stravista e di maniera

Southpaw – L’ultima sfida (Southpaw, Usa, 2015) di Antoine Fuqua con Jake Gyllenhaal, Forest Whitaker, Rachel McAdams, Naomie Harris, Curtis “50 Cent” Jackson, Oona Laurence, Skylan Brooks, Rita Ora

Sceneggiatura di Kurt Sutter

Drammatico, 2h 04′, 01 Distribution, in uscita il 2 settembre 2015

Voto: 4 su 10

La fiera dei luoghi comuni sulla redenzione nel mondo del pugilato arriva da un film scritto dallo sceneggiatore dei serial The Shield e Sons of Anarchy Kurt Sutter e diretto da quell’Antoine Fuqua (Training Day, Attacco al potere) che non ha mai fatto della finezza il suo tratto distintivo. Southpaw è la classica produzione accidentata dei fratelli Weinstein, che confermano la loro predilezione verso copioni basici fino allo strenuo e per luoghi cinematografici ampiamente battuti e di sicuro retroterra dal quale attingere copiosamente. 

11191554_oriQuesta storia di ascesa, rovinosa caduta e lenta risalita ha per protagonista il campione in carica dei pesi massimi leggeri Buddy Hope (Gyllenhaal), pugile spaccone, fumantino e non proprio sveglio; in casa i pantaloni li porta la moglie Maureen (McAdams) che lo vorrebbe fuori dal mondo della boxe prima che la demenza sopraggiunga. Poi il carattere di Buddy porta all’irreparabile, lui perde tutto e il suo manager lo abbandona. L’unico sostegno per tornare a trovare fiducia in se stesso è Trick Willis (Whitaker), l’allenatore orbo di una palestra scalcinata che lo riporterà un’ultima volta sul ring…

Inizialmente pensato per il ritorno sul grande schermo del rapper Eminem, in seguito ristudiato secondo una formula più standardizzata e (melo)drammaticamente sicura, Southpaw è, a conti fatti, un film stravisto da qualunque versante lo si voglia affrontare. La parabola di riscatto del suo antieroe maledetto non coinvolge mai, tanto suona falsa e artefatta, non tifiamo per lui all’inizio, non ci importa della sua crisi, ci è indifferente il suo allenamento e immaginiamo cosa il destino gli ha riservato per l’incontro finale. Non aiutano la scrittura ruffiana, una regia derivativa e di banale manierismo iper-realista e l’insopportabile gigionismo di Gyllenhaal, alla disperata ricerca di consensi. E, in oltre due ore di sfiancante apologia della seconda possibilità, al tappeto ci finisce lo spettatore.

Giuseppe D’Errico

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