“Sin City – Una donna per cui uccidere”, l’estetica della piattezza

Sin City – Una donna per cui uccidere (Frank Miller’s Sin City – A Dame to Kill For, Usa, 2013) di Robert Rodriguez, con Josh Brolin, Eva Green, Mickey Rourke, Jessica Alba, Joseph Gordon-Levitt, Rosario Dawson, Bruce Willis, Jaime King, Marton Csokas, Christopher Meloni, Jeremy Piven, Powers Boothe, Dennis Heysbert, Lady Gaga, Ray Liotta, Stacy Keach, Juno Temple, Christopher Lloyd, Jamie Chung, Jude Ciccolella, Julia Garner

Sceneggiatura di Frank Miller, dalle graphic novels “Una donna per cui uccidere” e “All’inferno e ritorno” di Frank Miller

Azione, 1h 42′, Lucky Red, in uscita il 2 ottobre 2014

Voto: 5½ su 10

A quasi dieci anni dal primo Sin City, ritornano sul grande schermo luoghi e personaggi creati dal mitico fumettista Frank Miller che, per questo secondo capitolo, mette mani a due graphic novels, “Una donna per cui uccidere” e “All’inferno e ritorno”. Lunghissima e travagliata la gestazione, sopravvissuta grazie all’ammirevole controllo di un regista come Robert Rodriguez, che ne ha curato anche montaggio, musiche e fotografia, ma il risultato desta le stesse perplessità del film precedente.

sin-city-2-una-donna-per-cui-uccidere-3d-Poster-Locandina-2014Drammaturgia di infinita piattezza al servizio di un’estetica dell’immagine che va oltre l’incredibile, capace di restituire con puntiglio maniacale ogni peculiarità della tavola a fumetti (e con un 3D che ne esalta la dimensione visuale). I cultori forse apprezzeranno ma la sperimentazione non evolve rispetto all’avventura precedente: come in quel caso, i contenuti che sulla carta stampata avevano una loro apposita funzionalità, al cinema finiscono per risultare poveri e schematici, con dialoghi quasi azzerati e uno stremante utilizzo di voice over. Resta il solito coacervo di vendette incrociate e sanguinarie, al servizio del piacere ludico dell’artificio e di un manipolo di star ringhianti a dovere. La scena, però, è tutta per la fatale Eva Green, la donna per cui in molti ucciderebbero.

Giuseppe D’Errico

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